“Atlante dei femminicidi” è un progetto finalizzato alla conoscenza, lo studio e la comunicazione del fenomeno del femminicidio in Italia.
L’obiettivo del progetto, nato a ottobre 2021, è quello di promuovere la cooperazione nella lotta politica alla violenza contro le donne e approfondire la conoscenza, lo studio e la comunicazione sul fenomeno del femminicidio.
Sarà sviluppata una piattaforma digitale, su base cartografica, di raccolta e sistematizzazione dei dati riguardanti il femminicidio in Italia, redatti dal gruppo di ricerca di Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.
Il progetto è finanziato dalla Regione Emilia Romagna, cofinanziato dal Comune di Bologna, dalla Casa delle donne, dalla Cooperativa Stellaria e dallo Studio Atlantis.
L’Osservatorio regionale sulla violenza di genere verrà coinvolto per approfondimenti sui casi della Regione Emilia-Romagna e nell’attività di disseminazione del progetto, verrà inoltre consultato per un confronto costante sullo svolgimento delle attività.
I partner del progetto sono Città Metropolitana di Bologna, il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna, l‘Istituto Storico Parri, la Rete D.i.Re, in qualità di patrocinio gratuito.
Presentazione Atlante dei Femminicidi - YouTube
Lo spot lanciato dal comune di Manchester, che sta raccogliendo elogi su internet, mostra tutti i tipi di molestie sessuali in pubblico che una donna può ricevere oggi in tanti Paesi occidentali. Secondo Un Women UK, il 71% delle donne di tutte le età nel Regno Unito ha subito qualche forma di molestia sessuale in un luogo pubblico. Il rapporto rileva inoltre che il 95% delle donne non l'ha mai denunciato. Il video è stato rilasciato dalla Greater Manchester Combined Authority come parte della strategia decennale sulla violenza di genere.
Una revisione sistematica e metanalisi ha indagato l’efficacia dei programmi di prevenzione della violenza fisica e sessuale all’interno delle relazioni di coppia degli adolescenti.
Gli episodi di violenza fisica e sessuale nelle coppie di adolescenti sono molto comuni, e comportano una serie di effetti avversi per la salute fisica e psichica anche a lungo termine.
I risultati, derivanti da 18 studi inclusi nella revisione che hanno coinvolto 22.781 adolescenti, hanno dimostrato che la realizzazione di interventi mirati al contrasto della violenza all’interno della coppia in adolescenza è generalmente associata ad una riduzione significativa di episodi di violenza, soprattutto fisica.
Pertanto i programmi preventivi di questo tipo sono potenzialmente efficaci nel ridurre le violenze fisiche intra-coppia negli adolescenti, mentre non sono ancora del tutto chiari gli effetti a livello degli atti di violenza sessuale. Necessarie ulteriori ricerche per individuare e valutare i componenti dei programmi/interventi, specialmente nell’ambito della violenza sessuale all’interno delle coppie tra gli adolescenti.
Piolanti A, Foran HM. Efficacy of Interventions to Prevent Physical and Sexual Dating Violence Among Adolescents: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Pediatr. Published online November 29, 2021
L’Istituto Superiore di Sanità ha organizzato il 26 novembre 2021 il workshop online “Violenza domestica e conseguenze sulla salute psico-fisica”. DoRS lo ha seguito per voi e nell’articolo ha sintetizzato i principali punti emersi dalle relazioni.
Il 25 novembre 2021 è stata lanciata la Campagna #lavoromolesto, contro la violenza e le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, organizzata da Cgil Piemonte, Cgil Umbria insieme a “L’Espresso”.
Il sindacato ha raccolto i racconti e le testimonianze di tante lavoratrici vittime di molestie, aggressioni, minacce, ricatti anche sessuali nei luoghi di lavoro, nell’ambito di un percorso formativo per la prevenzione delle violenze e delle molestie, nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2021. Proprio da questa iniziativa ha preso le mosse la campagna #lavoromolesto, per rompere il silenzio.
La formazione è stata occasione per entrare nel merito di temi quali l’identità di genere, l’orientamento sessuale, le discriminazioni, l’importanza della lingua e del linguaggio, le misure di prevenzione, i principi costituzionali, la Convenzione ILO 190 e altri approfondimenti culturali e normativi.
Sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).
Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul lavoro, sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera. https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-sul-luogo-di-lavoro
Formare le delegate e i delegati è importantissimo per prevenire il rischio violenza e molestie nei luoghi di lavoro e per tutelare coloro che ne sono state vittime, ma fondamentale è prima di tutto saperle riconoscere anche se non sono raccontate.
L’importanza della rete e delle relazioni sono emerse con forza durante la formazione e dal riconoscimento di questa importanza Cgil Piemonte e Cgil Umbria hanno avviato una collaborazione con L’Espresso per dare spazio e voce, in maniera anonima, a chi vorrà scrivere e raccontare di molestie anche sessuali o violenze subite, conosciute, trattate e gestite.
Come è scritto nell’articolo 1 della “Convenzione sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro”, redatta dall’Ilo (International labour organization), l’agenzia delle Nazioni Unite che promuove la giustizia sociale e i diritti umani in ambito lavorativo, ratificata da poco anche dall’Italia, la violenza o le molestie sul lavoro sono «un insieme di pratiche e comportamenti inaccettabili». Ma lo è anche solo «la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente». La stessa convenzione spiega che consistono in azioni che «possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e includono la violenza e le molestie di genere». Rappresentano, quindi, una minaccia alle pari opportunità e sono incompatibili con il lavoro dignitoso, sano, sicuro, per tutti. In un ambiente lavorativo in buona salute devono essere favorite le relazioni interpersonali basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza.
https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/11/23/news/molestie_lavoro_denuncia-326871401/
https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/11/23/news/molestie_lavoro_licenziata-326986992/
https://ne-np.facebook.com/hashtag/lavoromolesto?source=feed_text&epa=HASHTAG
Che cosa è cambiato in Italia e nel mondo rispetto alla violenza di genere e ai femminicidi durante la pandemia? Quali sono i provvedimenti a contrasto di quella che viene definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una pandemia nella pandemia? Che cosa si può fare per arginare il fenomeno? DoRS, in occasione del 25 Novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, pubblica un articolo che tenta di rispondere a questi interrogativi.
Obiettivo del documento è delineare un framework di misurazione degli interventi sull’empowerment con un focus particolare sulle donne fuoriuscite da situazioni di violenza.
Il documento ha una doppia valenza, sia interna sia esterna all’organizzazione. I principali target interni sono i colleghi e le colleghe impegnati nell’implementazione dei progetti sul campo ma anche coloro che lavorano per definire il posizionamento strategico e la comunicazione di ActionAid sul tema. All’esterno è rivolto prioritariamente ad associazioni, organizzazioni e gruppi del Terzo Settore o centri di ricerca e accademia impegnati sul tema.
L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo ha adottato le nuove “Linee guida sull’Uguaglianza di Genere e Empowerment di Donne, Ragazze e Bambine (2020-2024)”, presentate al Comitato Congiunto del 14/12/2020. Il documento è stato redatto dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo con il concorso della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI).
Oltre ad inquadrare la politica di genere nel contesto internazionale, le Linee guida definiscono le priorità della Cooperazione italiana per la promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e ragazze, e si rivolgono a tutti gli attori del sistema Italia (come previsto dalla legge 125/2014), applicandosi a tutti i progetti e programmi finanziati e/o cofinanziati dall’Italia.
Il carattere innovativo delle linee guida risiede nella definizione di obiettivi concreti ed ambiziosi. In particolare, si prevedono target sul finanziamento di iniziative ad hoc (almeno 10% dei contributi volontari e 10% de delle iniziative inserite in programmazione) e sul mainstreaming, attraverso l’uso sistemico del policy gender marker del OCSE-DAC ed il potenziamento delle analisi di genere. Inoltre, un accento particolare è posto sul cambiamento istituzionale interno, attraverso la previsione di azioni per il rafforzamento delle capacità dello staff, l’individuazione di Focal point, l’adeguamento del sistema di monitoraggio e valutazione, l’adozione di indicatori di genere disaggregati.
Le Linee guida identificano quali temi prioritari dell’azione della Cooperazione italiana la violenza di genere e diritti di donne/ragazze/bambine; l’empowerment ed il settore privato; lo sviluppo agricolo, la sicurezza alimentare ed cambiamento climatico; la salute sessuale e riproduttiva; l’istruzione e la formazione professionale; l’aiuto umanitario e i contesti fragili.
La redazione del documento ha previsto un processo di consultazione multi-sakeholder, coordinato dalla DGCS del MAECI, con le Organizzazioni della Società Civile e con il gruppo di lavoro “Strategie e linee di indirizzo della cooperazione italiana allo sviluppo” del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS), che hanno contribuito all’elaborazione del testo attraverso successive revisioni.
L’adozione delle Linee guida sull’Uguaglianza di Genere e Empowerment di Donne, Ragazze e Bambine per il prossimo quadriennio (2020/2024) rappresenta un nuovo punto di partenza per la Cooperazione Italiana e l’AICS ha già iniziato a lavorare per mettere in pratica i principi e le azioni in esse contenute. (Fonte: Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo)
Un terzo delle donne nell'UE ha subito violenza fisica e/o sessuale. Circa 50 donne perdono la vita a causa della violenza domestica ogni settimana e il 75% delle donne in ambito professionale ha subito molestie sessuali. Oltre ai molti effetti negativi personali, sociali ed economici della violenza di genere, la situazione è esacerbata a causa della pandemia.
Il Parlamento Europeo chiede che la violenza di genere, online e offline, sia trattata come un crimine particolarmente grave con “una dimensione transnazionale" attraverso una legge e delle politiche mirate per affrontare tutte le forme di violenza e discriminazione basate sul genere (contro donne e ragazze, ma anche contro le persone LGBTIQ+).
Il testo è stato approvato con 427 voti favorevoli, 119 contrari e 140 astensioni (maggioranza assoluta).
Ciò servirebbe da base giuridica per una direttiva UE incentrata sulle vittime, che utilizzi gli standard della Convenzione di Istanbul e altri standard internazionali e dovrebbe includere in particolare:
Inoltre, i deputati denunciano il femminicidio come forma più estrema di violenza di genere contro le donne e le ragazze e sottolineano che anche negare l'assistenza all'aborto sicuro e legale è una forma di violenza di genere.
L'epidemia di COVID-19 e le misure di confinamento seguite hanno sollevato preoccupazioni tra gli specialisti di tutto il mondo per quanto riguarda l'aumento dei casi di violenza domestica. La revisione sistematica mira a identificare le tendenze internazionali nella violenza domestica durante l'epidemia di COVID-19 e a esaminare le possibili differenze tra tutti i gruppi di popolazione e le diverse aree geografiche in tutto il mondo. È stato effettuato l'accesso ai seguenti database: DOAJ, ERIC, Google Scholar, ProQuest, Pubmed, PsycNet e SCOPUS, fino al 22 luglio 2020. Sono stati considerati ammissibili un totale di 32 studi. Sono stati recuperati dati da ricerche in Nord America, Europa, Asia-Pacifico, Africa e in tutto il mondo. Il COVID-19 ha causato un aumento dei casi di violenza domestica, specialmente durante la prima settimana del blocco COVID-19 in ogni paese. Nei bambini, tuttavia, sebbene le stime degli specialisti suggeriscano un aumento dei casi di maltrattamento e abuso sui minori, il tasso di segnalazioni della polizia e dei servizi sociali è diminuito durante la pandemia di COVID-19. La chiusura delle scuole che isolava gli studenti a casa sembra abbia contribuito a questa diminuzione. La violenza domestica è stata un problema considerevole imposto dall'epidemia di COVID-19 nel contesto mondiale. Il confinamento domiciliare ha portato a un contatto costante tra autori e vittime, con conseguente aumento della violenza e diminuzione delle denunce. Per ridurre al minimo tali problemi, sono necessarie misure di prevenzione e programmi di supporto.
Kourti A, Stavridou A, Panagouli E, Psaltopoulou T, Spiliopoulou C, Tsolia M, Sergentanis TN, Tsitsika A. Domestic Violence During the COVID-19 Pandemic: A Systematic Review. Trauma Violence Abuse. 2021 Aug 17:15248380211038690.
Il testo è organizzato in quattro sezioni. La prima presenta lavori, più accademici, che affrontano la storia e l’antropologia della violenza, e le sue rappresentazioni mediali. Nella seconda trovano spazio contributi che illustrano con dati aggiornati la fenomenologia della violenza in Italia e ne svelano le forme implicite in linguaggi e produzioni culturali. La terza raccoglie i contributi di attiviste e attivisti, di operatrici e operatori che quotidianamente animano, nei territori o in contesto accademico, iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza di genere. La quarta presenta lavori di ricercatrici e studentesse che stanno dedicando le fasi iniziali dei loro percorsi di indagine a vari aspetti della violenza di genere: dalle sue caratteristiche nei processi migratori alle sue manifestazioni in contesti collettivi che a parole la combattono fino alle sue forme introiettate che provocano disturbi alimentari, in un dialogo tra contributi di taglio accademico, lavori artistici visuali e forme (auto)narrative.
Il lavoro nasce dal progetto "Guardiamola in faccia: i mille volti della violenza di genere" e dai lavori presentati all’omonimo convegno svoltosi presso l’Università degli Studi di Urbino il 23 e 24 ottobre 2019.
Fatima Farina, Bruna Mura, Raffaella Sarti (a cura di). Guardiamola in faccia. I mille volti della violenza di genere. Urbino University Press 2020
Uno studio americano mostra un aumento notevole della violenza domestica tra partner (da 6 a 8 volte) in relazione alla pandemia.
Lo studio mirava a testare empiricamente se (a) l'impatto locale della pandemia di coronavirus fosse associato ad aumenti dell'aggressività del partner intimo (IPA) e del consumo eccessivo di alcol e (b) il consumo eccessivo di alcol moderasse l'associazione tra Stress da COVID-19 e perpetrazione dell'IPA. I tassi di perpetrazione fisica e psicologica dell'IPA sono aumentati significativamente dopo l'attuazione delle restrizioni che miravano a mitigare la trasmissione di COVID-19. Lo stress da COVID-19 è stato associato in modo significativo e positivo alla perpetrazione dell'IPA fisica e psicologica; tuttavia, lo stress da COVID-19 è stato positivamente associato alla perpetrazione fisica dell'IPA tra i partecipanti che bevono non pesantemente.
La media degli episodi di aggressione fisica è passata da 2 a 15 per anno, mentre le aggressioni psicologiche sono passate da una media di 16 a 96 per anno. La maggiore correlazione è stata riscontrata con livelli di stress molto aumentati.
Parrott, D. J., Halmos, M. B., Stappenbeck, C. A., & Moino, K. (2021). Intimate partner aggression during the COVID-19 pandemic: Associations with stress and heavy drinking. Psychology of Violence.
Il documento - che offre una ricostruzione particolareggiata delle diverse tipologie di reati - analizza l’andamento dei crimini riconducibili alla violenza di genere nel periodo compreso tra gennaio e giugno 2021 e confrontato con l’analogo semestre dell’anno precedente.
In particolare, sono stati analizzati i cosiddetti reati spia quali gli atti persecutori, i maltrattamenti contro familiari o conviventi e le violenze sessuali che nel primo semestre dell’anno in corso subiscono una flessione pari all’8% rispetto al primo semestre dell’anno precedente, passando da 20.764 dell'anno 2020 a 19.128 del 2021.
Nel stesso periodo, inoltre, si registra una diminuzione del totale degli omicidi pari al 6% rispetto all’analogo periodo del 2020, con 132 omicidi a fronte di 141. Seguono lo stesso trend gli omicidi con vittime di sesso femminile, che passano da 62 nel 2020 a 54 nel 2021.
In ambito familiare o affettivo, invece, il numero dei reati subisce una crescita nel semestre 2021, con 77 episodi a fronte dei 72 del primo semestre dell’anno precedente; sempre nel medesimo ambito, si registrano 48 donne uccise nei primi sei mesi del 2021 contro le 55 vittime del primo semestre del 2020.
Un approfondimento è dedicato alla “relazione tra vittima e autore” dalla cui analisi, per il primo semestre 2021, si rileva che l’83% di vittime italiane è stata uccisa da autori italiani, mentre solo il 5% da stranieri; nel restante 12% dei casi l’autore non è stato ancora individuato. Le vittime straniere, invece, nel 91% dei casi hanno trovato la morte per mano di cittadini stranieri, nel 9% di italiani.
In ambito familiare o affettivo, la percentuale di donne italiane uccise da connazionali raggiunge il 97%, mentre le donne straniere sono state uccise, nella totalità dei casi, da stranieri.
Infine, per quanto attiene al “modus operandi”, sia nel primo semestre 2020 che in quello 2021, le vittime sono state quasi tutte aggredite mortalmente con armi bianche o improprie.
La violenza contro le persone vulnerabili è un fenomeno in gran parte nascosto e sottostimato. I dipartimenti di emergenza (DE) sono ambienti ideali per identificare le vittime di abusi e maltrattamenti ripetuti. La disponibilità di set di indicatori di sospetto derivati da ampi database basati sulla popolazione può essere utile negli ambienti sanitari per rafforzare un sospetto derivante dall'osservazione del paziente e per integrare serie esistenti di indicatori di sospetto.
Lo studio è stato condotto in due regioni italiane: Piemonte e Toscana. È stato utilizzato un disegno di studio caso-controllo. Sono stati selezionati come casi pazienti di gruppi vulnerabili (bambini, donne adulte, e anziani) registrati nel registro ED per aggressioni, abusi o maltrattamenti verificatisi tra il 2013 e il 2015. Per ogni soggetto sono stati riepilogati tutti i ricoveri avvenuti nei 24 mesi precedenti attraverso indicatori di frequenza.
I PS della Toscana hanno registrato in ogni gruppo vulnerabile di popolazione almeno 4 volte il numero di casi di violenza per PS rispetto al Piemonte. La differenza potrebbe essere in parte spiegata dall'adozione negli ospedali toscani di un codice di triage (“codice rosa”) esplicitamente interessato al tracciamento delle vittime di violenza relazionale. I ricoveri e i precedenti ricoveri per violenza erano predittivi di essere vittima di violenza. Fattori predittivi significativi erano: cittadinanza straniera, classe di età 30-49 anni, età
L'elevata variabilità tra le regioni italiane nei tassi di violenza può dipendere sia dalla sottostima che dall'errata classificazione nella codifica dei casi di lesioni o malattie. I risultati confermano la ricorrenza della violenza rispetto alla continuità che caratterizza il maltrattamento in ambito domestico.
Pitidis A, Bianco S, Voller F, Radicioni DP, Dalmasso M, et al. (2021) Definition of Risk Indicators for Detection of Violence and Abuse on Vulnerable People from Population-Based Databases in Emergency Department Settings: Results from a Large Case-Control Study in Italy. Ann Psychiatry Ment Health 9(1): 1162
La violenza del partner intimo (IPV) include qualsiasi violenza (fisica, sessuale o psicologica/emotiva) da parte di un partner attuale o precedente. La revisione riflette l'attuale comprensione dell'IPV come una questione profondamente di genere, perpetrata più spesso da uomini contro donne. L'IPV può avere un impatto sostanziale sulla salute fisica e mentale dei sopravvissuti. Le donne colpite da IPV hanno maggiori probabilità di avere contatti con operatori sanitari (ad esempio infermieri, medici, ostetriche), anche se spesso le donne non rivelano la violenza. La formazione degli operatori sanitari sull'IPV, compreso come rispondere alle sopravvissute all'IPV, è un intervento importante per migliorare la conoscenza, gli atteggiamenti e la pratica degli operatori sanitari e, di conseguenza, i risultati di assistenza e salute per le sopravvissute all'IPV. Obiettivi della revisione: valutare l'efficacia dei programmi di formazione che cercano di migliorare l'identificazione e la risposta degli operatori sanitari all'IPV contro le donne, rispetto a nessun intervento, lista di attesa, placebo o formazione abituale.
Sono stati inclusi 19 studi che hanno coinvolto 1662 partecipanti. Tre quarti di tutti gli studi sono stati condotti negli Stati Uniti, con singoli studi in Australia, Iran, Messico, Turchia e Paesi Bassi. Dodici studi hanno confrontato la formazione IPV rispetto all'assenza di formazione e sette studi hanno confrontato gli effetti della formazione IPV con la formazione abituale o una sottocomponente dell'intervento nel gruppo di confronto, o entrambi. I partecipanti allo studio includevano 618 personale medico/studenti, 460 infermieri/studenti, 348 dentisti/studenti, 161 consulenti o psicologi/studenti, 70 ostetriche e 5 assistenti sociali. Gli studi erano eterogenei e vari per quanto riguarda i contenuti della formazione erogati, la pedagogia e il tempo per il follow-up (da subito dopo la formazione a 24 mesi). Entro 12 mesi dall'intervento, l'evidenza suggerisce che rispetto a nessun intervento, lista di attesa o placebo, la formazione IPV: · Può migliorare l'atteggiamento degli operatori sanitari nei confronti dei sopravvissuti all'IPV; Può avere un grande effetto sull'autopercepita; Può avere un grande effetto sulla conoscenza dell'IPV da parte degli operatori sanitari, sebbene l'evidenza fosse incerta; Può fare poca o nessuna differenza per le pratiche di riferimento delle donne da parte degli operatori sanitari alle agenzie di supporto, sebbene ciò sia basato su un solo studio valutato come certezza molto bassa; · Ha un effetto incerto sui comportamenti di risposta degli operatori sanitari (basato su due studi di certezza molto bassa), con uno studio (con 27 partecipanti) che ha riportato che gli operatori sanitari formati avevano maggiori probabilità di fornire con successo consigli sulla pianificazione della sicurezza durante le loro interazioni con pazienti standardizzati, e l'altro studio che non riporta un chiaro impatto sulle pratiche di pianificazione della sicurezza; Può migliorare l'identificazione dell'IPV a sei mesi dopo la formazione. Nessuno studio ha valutato l'impatto della formazione degli operatori sanitari sulla salute mentale delle donne sopravvissute all'IPV rispetto a nessun intervento, lista di attesa o placebo. Quando la formazione IPV è stata confrontata con la formazione abituale o una sottocomponente dell'intervento, o entrambe, non sono stati osservati effetti chiari sugli atteggiamenti/convinzioni degli operatori sanitari, sulla pianificazione della sicurezza e sull'invio ai servizi o sugli esiti di salute mentale per le donne. Sono stati osservati risultati incoerenti per la prontezza a rispondere degli operatori sanitari (miglioramenti in due studi su tre) e la conoscenza dell'IPV degli operatori sanitari (migliorata in due studi su quattro). Uno studio ha scoperto che la formazione IPV ha migliorato le risposte di convalida degli operatori sanitari. Nessun evento avverso correlato all'IPV è stato riportato in nessuno degli studi identificati in questa revisione.
Nonostante le prove di supporto siano deboli e incoerenti, la formazione può migliorare le risposte effettive degli operatori sanitari, compreso l'uso della pianificazione della sicurezza, l'identificazione e la documentazione dell'IPV nelle storie dei casi delle donne. L'effetto prolungato della formazione su questi risultati oltre i 12 mesi è indeterminato.
Sono necessarie ulteriori ricerche che valutino l'impatto della formazione sull'IPV sugli esiti comportamentali degli operatori sanitari e sul benessere delle donne sopravvissute all'IPV.
Kalra N, Hooker L, Reisenhofer S, Di Tanna GL, García-Moreno C. Training healthcare providers to respond to intimate partner violence against women. Cochrane Database of Systematic Reviews 2021, Issue 5.
L'isolamento sociale è considerato uno dei principali fattori di rischio che portano a episodi di violenza del partner intimo; questa evidenza è emersa anche durante l'applicazione delle politiche di isolamento a casa per contenere la pandemia di COVID-19. Per questo motivo, le ricercatrici dello studio hanno raccolto dati sulla violenza del partner intimo nell'ultimo anno, confrontando i dati riportati dalle vittime con i dati raccolti dai professionisti dell'assistenza. In accordo con le linee guida PRISMA, attraverso parole chiave relative ad abusi, pandemia e misure di contenimento, sono stati individuati 3174 articoli per lo screening. Dopo la lettura del testo integrale e l'analisi del rischio di bias, sono stati inclusi 19 studi ed è stata condotta una sintesi tematica secondo due categorie: "studi con vittime" e "studi con professionisti dell'assistenza". I risultati della revisione hanno mostrato differenze significative tra i dati forniti dalle vittime e i dati raccolti dalle strutture sanitarie e dai dipartimenti di polizia; inoltre, sono emerse differenze tra le diverse forme e la gravità della vittimizzazione. I risultati sono stati discussi e si è riflettuto su come le misure di contenimento abbiano apparentemente reso più difficile la denuncia da parte delle vittime.
In termini applicativi, i risultati di questa revisione della letteratura potrebbero portare all'implementazione di una formazione specifica per professionisti (ad es. polizia, psicologi e medici), concentrandosi su come ricevere correttamente le richieste di aiuto, basata su corsi di formazione specifici con l'uso di giochi di ruolo. La formazione potrebbe riguardare anche la sensibilizzazione e la formazione rispetto alla corretta lettura dei reati segnale o sentinella, con l'attivazione di procedure standardizzate a livello nazionale. Può essere utile anche sensibilizzare la popolazione in generale, poiché è stato riscontrato che il ruolo di terzi, in particolare dei vicini, può essere rilevante nell'evidenziare episodi di IPV che altrimenti non vengono segnalati. La consapevolezza dei segnali di allarme IPV e dell'aumento del rischio nel trascorrere del tempo con i perpetratori nella popolazione generale può essere un'opportunità per aumentare il supporto sociale, poiché è un importante fattore protettivo. Pertanto, sviluppare interventi, sia su larga scala sia nei singoli quartieri, può contribuire a prevenire il fenomeno IPV.
Sarà fondamentale proporre progetti di sostegno e reinserimento sociale per le vittime, alla luce dei risultati dello studio, il cui obiettivo sarà sempre quello di mettere al centro del processo di reinserimento i bisogni delle vittime. Secondo i dati disponibili, sembrerebbe inoltre utile mettere in atto procedure che possano facilitare il collegamento delle vittime con le istituzioni, soprattutto in tutti i casi in cui la vittima abbia limitate possibilità di comunicare con l'esterno. Durante la pandemia, sono stati compiuti progressi per quanto riguarda l'uso della "tele-salute". Sebbene ci siano ancora dei limiti a questa procedura, si tratta di un metodo che potrebbe aiutare, anche dopo la pandemia, tutte le vittime che non sono in grado di visitare di persona un professionista. Vale anche la pena considerare che la fine della pandemia darà alle vittime una maggiore possibilità di cercare aiuto e uscire dal ciclo della violenza. Questo potrebbe significare rendere ancora più visibile la disponibilità di tutti coloro che aiutano le vittime, dai professionisti della salute mentale e fisica alle autorità. Pertanto, potrebbe essere necessario uno sforzo maggiore per aumentare le possibilità per le vittime di incontrare questi professionisti.
Lausi G, Pizzo A, Cricenti C, Baldi M, Desiderio R, Giannini AM, Mari E. Intimate Partner Violence during the COVID-19 Pandemic: A Review of the Phenomenon from Victims' and Help Professionals' Perspectives. Int J Environ Res Public Health. 2021 Jun 8;18(12):6204.
L’Istat per la prima volta fornisce i dati trimestrali del numero di pubblica utilità 1522 contro la violenza sulle donne e lo stalking. La serie storica dei dati trimestrali inizia dal primo trimestre 2018. Il numero di pubblica utilità è promosso e gestito dal Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) presso la Presidenza del Consiglio. Seguendo un suggerimento fornito a livello internazionale, le informazioni raccolte dal numero verde contro la violenza e lo stalking possono fornire alcune evidenze relative all’andamento del fenomeno della violenza domestica durante il periodo della pandemia e, a distanza di qualche mese, il suo monitoraggio. In assenza di uno studio statistico aggiornato e svolto in tempo reale, infatti, l’analisi dei dati provenienti dalle chiamate al 1522, soprattutto se messa a confronto con lo stesso periodo degli anni precedenti, può fornire indicazioni utili all’evoluzione del fenomeno nel corso del lockdown, ma soprattutto del trend delle richieste di aiuto. Le campagne di sensibilizzazione promosse dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri sui canali televisivi e rilanciate sui social tra la fine di marzo ed aprile hanno rinforzato, infatti, il messaggio dell’importanza della richiesta di aiuto per uscire dalla violenza, che alla luce dei nuovi dati aggiornati, confermano la loro rilevanza.
Il numero delle chiamate valide sia telefoniche sia via chat nel primo trimestre 2021 è continuato ad aumentare, 7.974 chiamate valide e 4.310 vittime, in aumento rispetto al primo trimestre del 2020 (+38,8%), ma lontano dal picco del secondo trimestre 2020 (12.942 chiamate valide). Ancora il aumento la quota delle richieste di aiuto tramite chat, che costituiscono il 16,3% delle modalità di contatto (erano pari all11,5% nel primo trimestre del 2020). Tra i motivi che inducono a contattare il numero verde in netto aumento le chiamate per la “richiesta di aiuto da parte delle vittime di violenza” e le “segnalazioni per casi di violenza” che insieme rappresentano il 48,3% (3.854) delle chiamate valide. Nel periodo considerato, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, esse sono cresciute del 109%, mentre diminuiscono le chiamate per avere informazioni sul numero 1522 (-37,6%).
Le persone che hanno chiamato per la prima volta il 1522 nel primo trimestre 2021 sono l’84,8%. Tra le vittime questo dato raggiunge l’88,1%. Le vittime che hanno contattato il 1522 hanno segnalato di avere subito più tipologie di violenze nel 62,1% dei casi (più in particolare, 2 nel 23,3% e 3 o più forme di violenza nel 38,8% di casi). Una tipologia di violenza è stata segnalata dal 37,9% delle vittime; la violenza fisica è il tipo più frequente.
Il servizio 1522 svolge un’importante funzione di snodo a livello territoriale tra i servizi a supporto di coloro che vi si rivolgono: il 66,5% delle vittime nel primo trimestre 2021 è stata indirizzata verso un servizio territoriale (dato in diminuzione rispetto ai trimestri del 2020) e di queste il 57,1% (pari a 2.462 vittime) è stata inviata ad un Centro antiviolenza.
Le tavole riportano informazioni: sulla tipologia di utenza che si rivolge al servizio articolata a livello regionale, sulla tempistica delle chiamate, i luoghi e le forme della violenza, nonché sugli effetti generati da questa sia direttamente sulle vittime sia sui figli (violenza assistita), riportando, laddove disponibili, dettagli informativi di tipo socio-anagrafico e fornendo indicazioni sugli esiti della chiamata. (Fonte Istat)
Lo studio, condotto in Spagna, ha visto la partecipazione di 1269 utenti di social network appartenenti alla generazione Millennials (19-38 anni) e Generazione X (39-54 anni) che hanno una relazione sentimentale.
Principali misurazioni: Lo strumento "Questionario sulle nuove tecnologie per trasmettere la violenza di genere", analizza l'uso dei social network, la violenza subita ed esercitata sulle coppie. Le variabili di studio sono state il gruppo generazionale, l'età, il sesso, il consumo di alcol e droghe, il livello di istruzione formale, il paese di origine e di residenza e l'orientamento sessuale.
I risultati mostrano, fra i Millennials, un'associazione statisticamente significativa con gli elementi sui modelli di rischio nelle reti relative a phising, sexting, flaming, false offerte, cyberstalking e dirottamento della webcam. Le droghe aumentano le attività rischiose, così come la violenza subita e praticata; Il campione di donne riporta una maggiore pressione nelle attività sessuali e nella paura dei loro partner.
In conclusione, lo studio mostra modelli di rischio più elevati, così come la violenza subita e praticata, nel gruppo Millennials rispetto alla Generazione X. Inoltre, mostra un aumento generato da alcol e droghe nella violenza subita e praticata dai soggetti dello studio. Esistono invece differenze tra i comportamenti e le violenze subite e praticate a seconda dei, dove la violenza subita dalle donne è legata alla paura e ad attività di natura sessuale.
Rubio-Laborda JF, Almansa-Martínez P, Pastor-Bravo MDM. Relaciones sexistas en la generación X y Millennials [Sexist relationships in Generation X and Millennials]. Aten Primaria. 2021 Apr;53(4):101992. Spanish.
La convivenza forzata durante la fase di lockdown ha rappresentato in alcuni casi il detonatore per l’esplosione di comportamenti violenti, in altri l’aggravante di situazioni che già precedentemente erano violente,che hanno spinto, anche in contesti internazionali, a parlare di una doppia pandemia: epidemiologica e di violenza. Le Istituzioni nazionali e regionali, ma anche le associazioni dei Centri antiviolenza,hanno lanciato campagne informative per fornire alle donne riferimenti chiari a cui rivolgersi in caso di bisogno allo scopo di non far sentire le donne sole nel contrasto alla violenza. È stato pubblicizzato soprattutto il ruolo svolto dal numero di pubblica utilità nel supportare e accompagnare le donne verso i servizi che meglio si adattavano alla loro situazione contingente. Oggetto di analisi del report elaborato dall’Istat sono infatti le richieste di aiuto delle donne al numero di pubblica utilità 1522 nel corso del 2020. Vengono inoltre illustrate le strategie messe in atto dai Centri antiviolenza e dalle Case rifugio per gestire la “situazione di emergenza nell’emergenza” e vengono rilasciate le informazioni sul numero delle donne che hanno richiesto supporto e sono state accolte da queste strutture nel periodo gennaio-maggio 2020.
Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%).
Il boom di chiamate si è avuto a partire da fine marzo, con picchi ad aprile (+176,9% rispetto allo stesso mese del 2019) e a maggio (+182,2 rispetto a maggio 2019), ma soprattutto in occasione del 25 novembre, la giornata in cui si ricorda la violenza contro le donne, anche per effetto della campagna mediatica. Nel 2020, questo picco, sempre presente negli anni, è stato decisamente più importante dato che, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre del 2020, le chiamate sono più che raddoppiate (+114,1% rispetto al 2019).
La violenza segnalata quando si chiama il 1522 è soprattutto fisica (47,9% dei casi), ma quasi tutte le donne hanno subito più di una forma di violenza e tra queste emerge quella psicologica (50,5%).
Rispetto agli anni precedenti, sono aumentate le richieste di aiuto delle giovanissime fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019) e delle donne con più di 55 anni (23,2% nel 2020; 18,9% nel 2019).
Riguardo agli autori, aumentano le violenze da parte dei familiari (18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019) mentre sono stabili le violenze dai partner attuali (57,1% nel 2020).
Nei primi 5 mesi del 2020 sono state 20.525 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza (CAV), per l’8,6% la violenza ha avuto origine da situazioni legate alla pandemia (es. la convivenza forzata, la perdita del lavoro da parte dell’autore della violenza o della donna).
Dopo il calo di utenze, in corrispondenza del lockdown di marzo 2020, i Centri hanno trovato nuove strategie di accoglienza (il 78,3%). Solo sei CAV hanno dovuto interrompere l’erogazione dei servizi. Essenziale è stato il ruolo della rete territoriale antiviolenza per supportare i Centri nel loro lavoro. Nella maggioranza dei casi (95,4%) i CAV hanno supportato le donne tramite colloqui telefonici, nel 66,5% dei casi hanno utilizzato la posta elettronica mentre nel 67,3% i colloqui sono stati in presenza nel rispetto delle misure di distanziamento.
Per quanto riguarda le Case rifugio, nei primi 5 mesi del 2020 sono state ospitate 649 donne, l’11,6% in meno rispetto ai primi 5 mesi del 2019. Le Case hanno, infatti, segnalato più difficoltà dei CAV a organizzare l’ospitalità delle donne e a trovare nuove strategie (55,3% dei casi). Per il 6% delle donne accolte, le operatrici hanno segnalato che è stata la pandemia ad avere rappresentato la criticità da cui ha avuto origine la violenza. (Fonte Istat)
Con l'epidemia di COVID-19 che impone politiche di soggiorno in casa e isolamento sociale, sono aumentati gli allarmi sull'impatto del blocco e sulle sue conseguenze economiche sulla violenza domestica. Il documento cerca di fare luce sull'effetto della convivenza forzata e dello stress economico sulla violenza da parte del partner. Attraverso un’indagine online, si è rilevato un aumento del 23% della violenza da parte dei partner durante il blocco. I risultati indicano che l'impatto delle conseguenze economiche è due volte più grande dell'impatto del blocco. Si sono trovate stime ampie di un grande aumento della violenza domestica quando la posizione lavorativa / economica dell'uomo peggiora, specialmente in contesti in cui quella posizione era già minacciata.
Esther Arenas-Arroyo, Daniel Fernandez-Kranz, Natalia Nollenberger, Intimate partner violence under forced cohabitation and economic stress: Evidence from the COVID-19 pandemic, Journal of Public Economics, Volume 194, 2021,
La ricerca dell’Università degli Studi della Tuscia, in partnership con l’Associazione Differenza Donna ONG e con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, nell’ambito del progetto “STEP-Stereotipo e pregiudizio” ha analizzato la rappresentazione sociale della violenza di genere attraverso lo studio di articoli e sentenze.
Per quanto riguarda la violenza di genere sulla stampa, la ricerca ha analizzato un totale di 16.715 articoli nell’arco temporale di 3 anni, dal 2017 al 2019. I reati presi in considerazione sono stati la violenza domestica, la violenza sessuale, l’omicidio/femminicidio, la tratta e la riduzione in schiavitù di esseri umani e lo stalking.
Per analizzare il linguaggio relativo alla violenze sulle donne nei tribunali è stato analizzato un totale di 283 sentenze, su un arco temporale che va dal 2010 al 2020.
In base a quanto emerge dalle analisi della ricerca, in generale la rappresentazione sociale della violenza tende ad attenuare o omettere le responsabilità degli uomini protagonisti di episodi e reati di violenza. Gli stereotipi e i pregiudizi, quando si radicano nei testi delle sentenze o sulle pagine dei giornali, contribuiscono a perpetuare una rappresentazione sociale della violenza che mistifica il fenomeno riducendo le responsabilità degli aggressori. La raccomandazione è quindi quella di spogliare dalla retorica i testi che si occupano di violenza di genere e attenersi ai fatti oggettivi, solo in questo modo si eviterà il rischio di distorsione che il pregiudizio comporta e si vedrà rafforzata la capacità di giustizia del paese. (Fonte: Save the Children)
Pubblicata su Journal of Interpersonal Violence la prima ricerca italiana sul tema della violenza contro le donne che ha analizzato 330 casi di femminicidio avvenuti a Torino e nella Città Metropolitana.
La rivista internazionale Journal of Interpersonal Violence ha recentemente pubblicato uno studio condotto dal gruppo di ricerca, guidato dalla Prof.ssa Georgia Zara, docente del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, sul tema della violenza contro le donne. Si tratta del primo lavoro di ricerca svolto in Italia in materia e uno dei pochi al mondo. Lo studio intitolato “Violence against prostitutes and non-prostitutes: an analysis of frequency, variety and severity” ha esaminato 330 casi di femminicidio avvenuti a Torino e nella Città metropolitana, tra il 1970 e il 2020, commessi da 303 uomini autori di reato.
I risultati della ricerca suggeriscono che solo una piccola parte dei femminicidi avviene in un contesto anonimo (9,2%) perché la maggior parte delle vittime dello studio sono state uccise da un uomo che conoscevano (90,8%). Nel 53,8% dei casi c’era una relazione intima tra l’assassino e la vittima e nel 36,9% dei casi il femminicida era un conoscente. Secondo la ricerca inoltre, il tipo e l’intensità della relazione sembrano aver influenzato il modo in cui la violenza è avvenuta.
Nei casi in cui le vittime e gli autori avevano una relazione intima, il rischio di overkill, cioè di un uso eccessivo di violenza che va oltre quello necessario per causare la morte, era quattro volte più alto (46,1%) rispetto a quando la violenza avveniva contro vittime sconosciute (16,7%). In particolare, l'overkill sembrava verificarsi più frequentemente quando la relazione tra vittima e autore era disfunzionale ed emotivamente tesa (nel 53,9% dei casi). Anche per le vittime prostitute, il rischio di overkill era quasi quadruplo per coloro che conoscevano i loro perpetratori (49,5%), rispetto a quando non lo conoscevano.
Inoltre, confrontando le prostitute con qualsiasi vittima sconosciuta, il rischio di essere uccise in overkilling era quasi cinque volte più alto per le prime, suggerendo che le prostitute sono comunque sempre più a rischio di essere uccise con eccessiva violenza ed efferatezza: una combinazione di rabbia esternalizzata e distruttività mirata. Questo sembra anche essere suggerito dal fatto che le prostitute avevano più probabilità di essere vittime di omicidi sessuali, mutilazioni post-mortem e di essere uccise da uomini coinvolti in una persistente carriera criminale.
Il campione della ricerca era composto da 330 vittime di femminicidio e includeva donne prostitute e donne non prostitute con età media di 44,31 anni. L'83,0% delle vittime erano italiane, mentre il 17% erano straniere. Gli autori di femminicidio sono 303 con un’età media di 42,88 anni: 288 di loro (95%) hanno ucciso una sola vittima, mentre 15 (il 5%) hanno ucciso almeno due vittime in episodi distinti. Nel complesso, il 26,4% degli autori di femminicidio aveva precedenti penali ufficiali. I dati sono stati raccolti all'Istituto di Medicina Legale e all'Archivio dell'Obitorio di Torino, resi anonimi, non identificabili e codificati numericamente a fini statistici.
I risultati di questo studio evidenziano come le donne vittime di violenza non siano un gruppo omogeneo, anche se alcuni dei correlati psicosociali sono i medesimi, e danno rilevanza alle caratteristiche che sottendono il tipo, l’intensità e la natura della relazione tra prostitute e non prostitute e i loro aggressori. Queste variabili, secondo la ricerca, sono ciò che rende la violenza contro le donne un problema prevenibile.
È guardando non solo al tipo della relazione, ma soprattutto all’intensità (intima/affettiva versus professionale versus superficiale) e alla qualità della stessa (disfunzionale o patologica) che un’accurata valutazione del rischio differenziale può essere pianificata, e misure di intervento informative e preventive possono essere realizzate. (Fonte: Ufficio stampa UniTo)
Le pandemie fanno emergere i problemi delle popolazioni vulnerabili. Il Center for Global Development Centro ha presentato la dichiarazione “Pandemics and Violence against Women and Children” (VAW/C) nell'aprile 2020, delineando strategie per massimizzare il sostegno a queste famiglie. Le linee guida evidenziano quanto segue: 1. Rafforzare i sistemi di prima risposta legati alla violenza: aumentare il personale o le operazioni temporanee per le hotline di prevenzione e risposta alla violenza esistenti e i centri di sensibilizzazione; aumentare la comunicazione e la consapevolezza dei servizi 2. Garantire che la VAW / C sia integrata nella risposta dei sistemi sanitari: gli operatori sanitari dovrebbero essere formati per identificare le donne a rischio di violenza presenti in tutti i luoghi di test / screening, valutando la sicurezza delle raccomandazioni per l'auto-quarantena o il ricovero a casa. 3. Ampliare e rafforzare le reti di sicurezza sociale: proposte per una rapida espansione delle reti di sicurezza sociale a favore dei poveri, tra cui congedo per malattia retribuito, assicurazione contro la disoccupazione, pagamenti diretti in contanti o buoni alimentari e / o sgravi fiscali. 4. Ampliare i rifugi e gli alloggi temporanei: è probabile che durante le pandemie si riducano gli alloggi temporanei e di transizione per i sopravvissuti alla violenza. Sebbene anche le popolazioni ammalate, senzatetto, incarcerate e altre popolazioni vulnerabili possano essere ad alto rischio, garantire alloggi di emergenza sicuri contro la pandemia per donne e bambini ad alto rischio dovrebbe rimanere una priorità. Anche lo sfruttamento delle piattaforme online e virtuali esistenti può svolgere un ruolo significativo durante le pandemie. Esempi degni di nota includono myPlan dagli Stati Uniti, isafe in Nuova Zelanda, iCAN in Canada e SAFE nei Paesi Bassi. Questi meccanismi possono aiutare le donne e i bambini a sentirsi connessi e supportati, migliorando il senso di isolamento mentre mantengono le loro reti sociali. I bambini dovrebbero essere cresciuti in un ambiente sicuro che protegga dai problemi emotivi, cognitivi, comportamentali e somatici associati alla violenza assistita. Gli operatori sanitari possono selezionare, identificare e gestire questa patologia nelle famiglie colpite mentre educano le comunità agli effetti perniciosi dell'esposizione alla violenza.
Walker-Descartes I, Mineo M, Condado LV, Agrawal N. Domestic Violence and Its Effects on Women, Children, and Families. Pediatr Clin North Am. 2021 Apr;68(2):455-464.
Indagine di campo che analizza in chiave di genere la condizione di grave marginalità riguardante persone con esperienza migratoria. La ricerca ha coinvolto responsabili e operatori di associazioni che offrono sostegno a donne migranti e persone LGBT. L'ipotesi di partenza è che esista una relazione diretta tra la violenza subita in ambito domestico e lo scivolamento in condizione di homelessness. In questo lavoro si intende comprendere come incida l'intreccio tra fattori di disuguaglianza, determinati sia da aspetti strutturali che individuali, nel determinare le condizioni di grave marginalità.
La violenza sessuale del partner intimo (IPSV) è un fenomeno prevalente, ma un argomento poco studiato. A causa della natura complessa dell'equilibrio tra amore e paura, le persone che sperimentano l'IPSV hanno esigenze uniche e affrontano barriere uniche per cercare assistenza. Scopo della revisione sistematica era esaminare la letteratura sulla ricerca di aiuto e le barriere alla cura nell'IPSV. Gli articoli sono stati identificati tramite PubMed, CINAHL, PsycINFO e Web of Science. I termini di ricerca includevano termini relativi a IPSV, violenza da partner intimo (IPV), violenza domestica, aggressione sessuale e stupro. La revisione era limitata agli Stati Uniti e gli articoli inclusi erano necessari per misurare o identificare specificamente la violenza sessuale in una relazione intima e analizzare o discutere IPSV in relazione a comportamenti di ricerca di aiuto o barriere alla cura. Dei 17 articoli inclusi nella revisione, 13 erano studi quantitativi e quattro erano studi qualitativi. I risultati suggeriscono che sperimentare IPSV rispetto a sperimentare IPV non sessuale (cioè IPV fisico o psicologico) può aumentare la ricerca di aiuto per servizi medici, legali e sociali mentre diminuisce la ricerca di aiuto per supporto informale. La ricerca di aiuto può anche ridurre il rischio di futuri IPSV e diminuire i risultati di cattiva salute mentale. Le barriere alla ricerca di cure nell'IPSV includevano lo stigma sociale, la paura e la difficoltà per gli individui nell'identificare i comportamenti dell'IPSV nelle loro relazioni come abusi. È necessaria una ricerca più inclusiva tra le diverse popolazioni, inclusi uomini, individui non bianchi, individui non eterosessuali e transgender. Vengono discussi suggerimenti per la ricerca, la pratica e le politiche.
Wright EN, Anderson J, Phillips K, Miyamoto S. Help-Seeking and Barriers to Care in Intimate Partner Sexual Violence: A Systematic Review. Trauma Violence Abuse. 2021 Mar 9:1524838021998305.
Pubblicazione annuale sulla violenza contro le donne nella provincia di Trento, realizzata per la prima volta nel 2012. Strumento di lavoro per gli operatori che accompagnano donne vittime di violenza di genere. Le situazioni di violenza di genere richiedono una collaborazione efficace tra tutti gli enti, le istituzioni e le organizzazioni pertinenti, in linea con la Convenzione di Istanbul ed è in quest’ottica intersettoriale che è stato concepito il report.
L’Istituto Superiore Einaudi-Molari (Sant'Arcangelo di Romagna) ha attivato un progetto PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento) di sensibilizzazione e contrasto alla violenza sulle donne. Il progetto è stato pensato e sviluppato in collaborazione con MondoDonna onlus, per il corso di Tecnica Professionale dei Servizi Pubblicitari. Il progetto si è concentrato sugli stereotipi che affollano la comunicazione pubblicitaria, anche quando si parli di contrasto alla violenza di genere per coinvolgere gli studenti in un contest per la creazione della campagna di sensibilizzazione di MondoDonna in occasione dell’8 marzo.
La parola può dare forma all’esperienza raccontandola ovvero manipolandola; la scelta che facciamo delle parole è un atto decisivo che ha delle ripercussioni nel nostro agire poiché può costituire la premessa di pratiche discriminatorie. A partire da tali presupposti l’autrice, Fabiana Fusco dell’Università di Udine, propone alcune riflessioni sull’uso di talune parole ed espressioni e sulla consapevolezza del significato che proprio quelle parole ed espressioni manifestano quando trattiamo e valutiamo certi argomenti sensibili; si parte da alcune considerazioni sul termine femminicidio per poi osservare come la violenza di genere appaia da un lato in un contesto della codificazione linguistica come un dizionario della lingua italiana e dall’altro nella stampa quotidiana nazionale.
Nella notte tra il 19 e il 20 marzo,con un decreto presidenziale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul. Proposta dal Consiglio Europeo a tutela delle donne e prevenzione della violenza domestica, la Convenzione fu sottoscritta dallo stesso Erdoğan, allora Primo Ministro, e ratificata dal Parlamento turco nel 2011. Quella di allora era certamente una Turchia diversa, dove tuttavia erano già presenti troppi episodi di femminicidio e di violenza sulle donne. I dati con il tempo sono aumentati e,anche a causa delle restrizioni da Covid-19, il Paese oggi vanta un triste primato: tra il 2019 e il 2020 i casi di femminicidio sono stati 437. Un’analisi del Cespi, Centro Studi di Politica Internazionale.
Primo incontro dei "Seminari Donne e Diritti: Prospettive tra Ricerca e Territorio" (III Edizione). L'incontro con l'avvocata Samuela Frigeri, Presidente del Centro Antiviolenza di Parma inaugura la terza edizione dei Seminari" organizzati e coordinati da Fausto Pagnotta all'interno dell'insegnamento in Sociologia delle disuguaglianze di genere tenuto dal docente nell’ambito del Corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali del Dipartimento di Giurisprudenza, Studî Politici e Internazionali dell’Università di Parma.
Creato per la prima volta da ‘Women's Funding Network' (WFN), durante il lockdown 2020, in connessione con la ‘Canadian Women's Foundation', il SignalForHelp si sta diffondendo rapidamente in rete con l’intento di aiutare le donne maggiormente esposte al rischio violenza in quanto recluse in casa con i maltrattanti.
È un segnale che si fa con una mano, rivolgendo il palmo verso la persona che ci sta guardando, sia in collegamento video sia in presenza, si piega poi il pollice verso l’interno e si piegano poi le altre dita per formare un pugno.
Le associazioni che si occupano di violenza sottolineano come sia fondamentale far seguire un percorso di presa in carico specializzata, che ponga in essere risposte concrete da parte di coloro che sono coinvolti a vario titolo nel percorso: forze di polizia, magistratura, centri antiviolenza, case rifugio, etc, altrimenti il semplice segnale potrebbe essere un boomerang contro le donne se non è seguito da una presa in carico e da competenze specifiche.
https://www.youtube.com/watch?v=AFLZEQFIm7k&t=12s
Il fenomeno della violenza e delle molestie è significativo in Italia anche in ambito lavorativo. I risultati della prima indagine nazionale sul tema specifico della violenza e molestia di tipo sessuale, pubblicati dall’Istat nel 2018, evidenziano che, in ambito lavorativo, 1.404.000 donne tra 15 e 65 anni hanno dichiarato di aver subito molestie fisiche da parte di un collega o di un datore di lavoro, o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Le molestie e le violenze di tipo sessuale sono però solo un aspetto del problema, che riguarda una casistica molto più vasta, tra cui le molestie psicologiche e quelle fisiche.
La pandemia da Covid-19, che ha imposto a molti lavoratori, tra cui circa il 90% dei dipendenti delle amministrazioni centrali, e oltre il 70% delle Regioni, di lavorare da casa, ha incrementato il rischio della violenza di genere tra le mura domestiche, che si somma a quello sul luogo di lavoro, non annullato dal lockdown, durante il quale può essere aumentato il rischio della molestia psicologica.Pertanto, è oggi quanto mai importante potenziare la comunicazione su tale tematica sensibilizzando tutti i lavoratori.
Il fine è quello di garantire un ambiente di lavoro sano, privo di fattori di discriminazione e di qualsiasi forma di violenza, fisica o psicologica, anche allo scopo di migliorare la produttività e la qualità delle prestazioni, riducendo, allo stesso tempo, il rischio di infortuni e malattie professionali.
Il volume Femminicidi a processo: Dati, stereotipi e narrazioni della violenza di genere, ha indagato sulle rappresentazioni sociali della violenza di genere in Italia attraverso un'indagine empirica di 370 casi di femminicidio nel periodo compreso tra il 2010 e il 2016.
Il volume esplora i diversi modi in cui vengono raccontati i femminicidi e la violenza di genere nel corso dei procedimenti giudiziari e i fattori che ne influenzano gli esiti, tra cui il sentire comune e i “saperi esperti”, ovvero la lettura della violenza da parte di psicologi, operatori nei centri di assistenza, forze dell'ordine e medici legali, il cui parere può condizionare l'andamento del processo.
L'indagine riportata in Femminicidi a processo è stata condotta da alcuni docenti e ricercatori dell'università di Palermo coordinati da Alessandra Dino, professoressa di sociologia giuridica e della devianza.
Qui un'intervista alla professoressa Dino:
https://www.youtube.com/watch?v=mxQ2oiO8lrg
Il Centro Antiviolenza del Comune di Venezia si presenta nel cortometraggio "Oltre gli stereotipi: giovani sguardi sulla violenza di genere" realizzato con il coinvolgimento di ragazze e ragazzi, per comunicare un messaggio comune: la violenza di genere si può contrastare anche a distanza e ognuno di noi può avere un ruolo. Il cortometraggio è diretto da Rachele Casato e realizzato in collaborazione con La Esse.
La violenza del partner intimo contro le donne (IPVAW) è la violazione più pervasiva dei diritti delle donne nel mondo, causando danni devastanti per tutta la vita.
Le vittime possono soffrire di problemi di salute fisica, emotiva o mentale e sperimentare effetti dannosi sulla salute sociale, psicologica e relazionale con le loro famiglie, in particolare i bambini.
A causa della complessità riguardante la violenza contro le donne nelle coppie eterosessuali, è importante fare una chiara distinzione tra maltrattamenti psicologici e fisici, che include anche la violenza psicologica.
Questa differenziazione è importante per determinare i diversi aspetti emotivi e psicologici del maltrattamento al fine di comprendere le ragioni per cui alcune donne rimangono in tali relazioni e per spiegare i profili di personalità delle vittime e degli autori.
In questa breve rassegna narrativa, sono state combinate prospettive di psicologia del profondo e teoria dell'attaccamento da studi su traumi, legami traumatici e complesso autore / vittima nella violenza di genere.
È stata anche considerata la crescente letteratura sull'IPVAW in relazione al campo medico-legale. La strategia di ricerca includeva la violenza del partner intimo, gli stili di attaccamento, i fattori di rischio e la relazione vittima / autore.
Distinguere i diversi tipi di IPVAW è un passaggio necessario per comprendere la complessità, le cause, le correlazioni e le conseguenze di questo problema. Soprattutto, consente l'implementazione di efficaci strategie di prevenzione e intervento.
Tullio V, Lanzarone A, Scalici E, Vella M, Argo A, Zerbo S. Violence against women in heterosexual couples: A review of psychological and medico-legal considerations. Med Sci Law. 2021 Jan;61(1_suppl):113-124.
Quest'anno, il tema della Giornata internazionale della donna (8 marzo), "Women in leadership: Achieving an equal future in a COVID-19 world", celebra gli enormi sforzi delle donne e delle ragazze di tutto il mondo nel plasmare un futuro e una ripresa più equi dalla pandemia COVID-19 e mette in evidenza le lacune che rimangono. Le donne sono ancora sottorappresentate nella vita pubblica e nel processo decisionale, come rivelato nel recente rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite. Le donne sono capi di Stato o di governo in 22 paesi e solo il 24,9% dei parlamentari nazionali sono donne. Al ritmo di progresso attuale, l'uguaglianza di genere tra i capi di governo richiederà altri 130 anni. Le donne sono anche in prima linea nella battaglia contro COVID-19, in qualità di operatori in prima linea del settore sanitario, come scienziati, medici e assistenti, ma vengono pagate l'11% in meno a livello globale rispetto ai loro colleghi maschi. Alcune delle risposte più efficienti ed esemplari alla pandemia COVID-19 sono state guidate da donne. E le donne, in particolare le giovani donne, sono in prima linea in movimenti diversi e inclusivi online e nelle strade per la giustizia sociale, il cambiamento climatico e l'uguaglianza in tutte le parti del mondo. Tuttavia, le donne sotto i 30 anni sono meno dell'1 per cento dei parlamentari nel mondo. Questo è il motivo per cui la Giornata internazionale della donna di quest'anno è un grido di battaglia per l'uguaglianza delle generazioni, per agire per un futuro uguale per tutti. Il Generation Equality Forum, la più importante convocazione per gli investimenti e le azioni sull'uguaglianza di genere, prenderà il via a Città del Messico dal 29 al 31 marzo e culminerà a Parigi nel giugno 2021. Attirerà leader, visionari e attivisti da tutto il mondo, in sicurezza su una piattaforma virtuale, per spingere verso un cambiamento trasformativo e duraturo per le generazioni a venire.
Sito dell'Osservatorio di Ricerca sul Femminicidio, realizzato nell'ambito del progetto di ricerca PRIN "Le rappresentazioni sociali della violenza di genere: il femminicidio in Italia".
Il progetto coinvolge 5 unità di ricerca sul territorio nazionale, da nord a sud. Oltre all’unità operativa di Bologna, partecipano: Università di Padova, Palermo, Salento, Torino.
Obiettivo della ricerca: rintracciare le principali caratteristiche discorsive utilizzate quando si parla di femminicidio nei diversi spazi pubblici, con particolare riferimento a tre aree ritenute rilevanti per la sua rappresentazione sociale: - i media (inclusi i media digitali) - il discorso giudiziario (le sentenze) - la policy (le istituzioni)
Gli strumenti utilizzati sono:
Durante la pandemia da Covid-19 si è registrato un notevole aumento di casi di violenza alle donne da parte del partner intimo (IPV). DoRS ha individuato e analizzato studi e revisioni che si sono occupate dell’argomento per ricavare strategie e raccomandazioni a contrasto del fenomeno.
Il Senato italiano ha ratificato, a gennaio 2021, la Convenzione 190 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, datata 21/06/2019, che concerne l’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro. Il documento andrebbe considerato congiuntamente alla Raccomandazione 206 di pari data (https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---europe/---ro-geneva/---ilo-rome/documents/normativeinstrument/wcms_713418.pdf ).
Fra le motivazioni della Convenzione: tutela dei diritti umani, ripercussioni sulla salute e dignità delle persone, sostenibilità delle imprese.Dopo avere riconosciuto che molestie e violenze di genere colpiscono donne e ragazze in maniera sproporzionata, il documento sottolinea l'importanza di intervenire sulle cause all’origine e sui fattori di rischio, fra i quali stereotipi di genere, forme di discriminazione, squilibri nei rapporti di potere.
Il femminicidio è il risultato letale della violenza contro le donne ed è un fenomeno mondiale. Nonostante l'incidenza di omicidi di donne e il fatto che un numero significativo di donne sia stato ucciso dal proprio partner o ex partner, ancora pochi studi sono stati condotti per identificare le vittime di fattori di rischio letali di femminicidio. In particolare, pochissimi studi hanno indagato i fattori di rischio fatali considerando la fascia di età delle vittime e nessuno studio ha confrontato i fattori di rischio fatali delle vittime per femminicidio considerando tre diversi gruppi di età, cioè donne adolescenti / giovani, adulte e anziane, effettuando uno studio d'archivio su un periodo di dieci anni di femminicidi in Italia al fine di valutare anche possibili cambiamenti nel tempo sulle uccisioni di donne.
Dal 2010 al 2019 si sono registrati 1207 casi di femminicidio in Italia, rilevando un trend decrescente significativo nel tempo delle percentuali di vittime annuali di femminicidio. Questa tendenza al ribasso sembra partire dal 2013, anno cruciale per l'Italia, in quanto quell’anno corrisponde sia al maggior numero di femminicidi registrato sia alla ratifica della Convenzione di Istanbul in Italia. Sulla base dei risultati si può ipotizzare che il 2013 abbia rappresentato una pietra miliare per i movimenti e partiti governativi, politici e sociali italiani, dopo che la Legge n° 119/2013 e la Legge n° 69/2019 sono state introdotte dal Parlamento italiano. Anche se ad oggi non sono disponibili dati sull'efficacia di queste misure legislative in termini di prevenzione e riduzione dei tassi di femminicidio, la maggiore attenzione dei media e dei social media al femminicidio potrebbe aver sensibilizzato l'opinione pubblica, come sottolineato da un recente rapporto secondo il quale oltre il 90% degli italiani considera l'IPV (Intimate Partner Violence) non accettabile.
Coerentemente con la letteratura internazionale, i riceratori hanno evidenziato come la maggior parte dei femminicidi delle donne (60,3%) siano stati perpetrati da un partner intimo. Inoltre, i risultati relativi alle caratteristiche delle vittime e degli autori e la loro relazione erano coerenti con i fattori di rischio noti nella ricerca internazionale. In considerazione di ciò, e tenuto conto che il femminicidio è trasversale a tutte le fasce d'età la ricerca ha indagato su un aspetto particolare e poco approfondito relativo al femminicidio, ovvero l'età delle vittime, al fine di valutare eventuali differenze di fasce d'età rispetto ai due principali fattori di rischio letali descritti in letteratura, che sono precedenti violenze subite e motivi del femminicidio.
Come previsto, i risultati hanno sottolineato l'esistenza di differenze significative tra i gruppi di età delle vittime. Indipendentemente dall'età delle vittime, tutti i tipi di comportamenti violenti considerati erano abbastanza diffusi nel campione. Analogamente ad altri studi il tipo più comune di comportamenti violenti sperimentati dalle vittime erano i comportamenti di controllo, seguiti dallo stalking per le donne adulte e dalla violenza fisica per le vittime più anziane. In particolare, le donne adolescenti / giovani hanno riportato livelli più elevati di stalking e comportamenti di controllo subiti rispetto agli altri due gruppi di donne considerati. Questi risultati sembrano evidenziare e confermare che per le vittime giovani e adolescenti tali forme di controllo e comportamenti intrusivi sono fattori di rischio letali significativi. Per quanto riguarda il secondo fattore di rischio fatale indagato, ovvero i motivi del femminicidio, i risultati hanno confermato che tra le vittime adulte i principali motivi dell'uccisione delle donne erano la gelosia, l'incapacità di accettare la fine della relazione, i litigi e i conflitti indicando anche che, rispetto alle altre vittime, la presenza di tali motivi sembra aumentare significativamente il rischio di morte delle donne adulte. Diversamente, le donne anziane rispetto alle adolescenti / giovani e alle donne adulte avevano una probabilità significativamente maggiore di essere uccise a causa della malattia mentale e / o fisica della vittima e / o dell'autore.
Lo studio di tali aspetti potrebbe avere diverse implicazioni di prevenzione e intervento. I risultati, coerenti con altri studi, hanno sottolineato la necessità di sviluppare attività di prevenzione primaria e secondaria e la necessità di ulteriori studi sui fattori di rischio letali nei gruppi di età delle vittime. Ciò in termini di prevenzione primaria, significa la necessità di sviluppare strumenti di autovalutazione adeguati all'età e di valutarne l'efficacia in termini di accresciuta consapevolezza e riconoscimento dei rischi. Lo sviluppo di questi strumenti insieme ad altre attività di prevenzione primaria rivolte a bambini e adolescenti, volte a rifiutare la violenza e riconoscere comportamenti a rischio, dovrebbe portare al riconoscimento precoce di alcuni comportamenti sottovalutati e normalizzati spesso considerati semplicemente gesti d'amore.
La previsione della rivittimizzazione è diventata uno dei principali obiettivi di ricerca nell'area della violenza da partner intimo e, quindi, la comprensione dei fattori associati alla rivittimizzazione e all'evento fatale ha implicazioni cruciali, sia per i professionisti sia per le donne, nell'aiutarle a massimizzare la loro capacità di adottare misure preventive. Inoltre, in termini di attività di prevenzione secondaria, la presenza di comportamenti di stalking e di controllo nelle adolescenti / giovani donne, potrebbe essere considerata come fattore di rischio significativo e letale per il femminicidio di questa fascia di età, portando così ad un'adeguata valutazione del rischio da parte dei professionisti e all’attivazione di protocolli mirati e rapidi di gestione del rischio.
Per quanto riguarda le motivazioni del femminicidio, i risultati hanno sottolineato l'esistenza di differenze significative tra adolescenti / giovani, donne adulte e anziane, sostenendo la necessità di ulteriori studi. In particolare, coerente con la letteratura internazionale, gelosie, litigi e conflitti e l'incapacità del perpetratore di accettare la fine della relazione sono tutti motivi che aumentano significativamente il rischio di violenza letale delle vittime adulte. La presenza della malattia fisica e mentale della vittima e / o dell'autore del reato è risultata essere un fattore di rischio letale significativo, aumentando le probabilità di femminicidio tra le vittime più anziane. Coerentemente con altri studi si possono ipotizzare che di fatto queste donne siano state spesso dimenticate nella ricerca sul femminicidio. Diverse possibili spiegazioni dei motivi del femminicidio tra le donne anziane potrebbero essere trovate sia nel contesto culturale sia in quello educativo poiché alcuni di questi femminicidi potrebbero essere il risultato fatale di una lunga storia di violenza mai riconosciuta né denunciata o, al contrario, potrebbero avere un effetto salvifico, “come soluzione al deterioramento delle situazioni di salute”, che sottolinea la possibile necessità di aumentare i livelli di sostegno sociale delle persone anziane e ridurre il loro senso di isolamento.
Lo studio presenta alcune limitazioni. Come nella maggior parte degli studi sul femminicidio, le informazioni sull'evento, la vittima, l'autore e la loro relazione sono state raccolte cercando e leggendo articoli di giornale online. Un altro possibile limite potrebbe essere rappresentato dall'assenza del cosiddetto "gruppo di controllo" o "donne maltrattate", per confrontare i fattori di rischio letali e non letali tra i gruppi. Nonostante queste limitazioni, lo studio è il primo volto a indagare i fattori di rischio del femminicidio in diversi gruppi di età. Ulteriori studi dovrebbero indagare meglio i fattori di rischio letali e non letali per il femminicidio, considerando le differenze di fascia di età delle vittime e confrontando le donne vittime di abusi e le vittime di femminicidio, al fine di progettare, implementare e valutare l'efficacia dei programmi di prevenzione e intervento basati sull'età.
Sorrentino A, Guida C, Cinquegrana V, Baldry AC. Femicide Fatal Risk Factors: A Last Decade Comparison between Italian Victims of Femicide by Age Groups. Int J Environ Res Public Health. 2020 Oct 29;17(21):7953
Il progetto, finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è destinato alle scuole dell’infanzia, nelle prime classi della scuola primaria e nei centri di istruzione/educazione.
Sono luoghi fondamentali della vita dei bambini e delle bambine e uno dei principali contesti in cui si svolge la socializzazione di genere ed in cui si creano, si mantengono e si trasmettono comportamenti ed atteggiamenti stereotipati.
Il progetto ha sperimentato alcune azioni volte ad aumentare la consapevolezza sull’argomento nelle educatrici ed educatori, e negli/nelle insegnanti che quotidianamente sono in contatto con bambini e bambine della fascia di età 4- 7 anni.
Con questa linea di intervento D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) vuole promuovere attraverso i centri antiviolenza la diffusione di strumenti didattici per attività dedicate a una fascia di età importante e delicata per la costruzione della propria identità e delle relazioni con l’altro/altra.
Sono stati realizzati quattro video animati della durata di circa un minuto ciascuno, destinati a una fascia di età 4-7 anni. I video sono stati utilizzati per attività di sensibilizzazione in sedici città su tutto il territorio nazionale, con l’organizzazione di laboratori didattici. Questi erano rivolti a un gruppo ristretto di insegnanti, educatrici ed educatori, allo scopo di far conoscere gli strumenti pedagogici prodotti, sperimentarli, e per programmare attività in aula con bambini/e.
Le organizzazioni internazionali hanno documentato un aumento delle segnalazioni di “Intimate Partner Violence” (IPV), ovvero la violenza perpetrata dal partner, durante l'attuale pandemia. Riflettendo sui fattori di rischio associati all'IPV e sulla necessità di fondo degli autori della violenza di esercitare il controllo sulle vittime, diventa sempre più importante capire come le attuali politiche di allontanamento sociale, autoisolamento e blocco possano accelerare episodi di IPV. Inoltre, l'accesso a servizi specializzati e assistenza sanitaria può essere compromesso e gli operatori sanitari devono affrontare nuove sfide e richieste imposte dalla pandemia durante la gestione dei casi di IPV. L’articolo inizia esaminando i principali fattori di rischio più comunemente associati all'IPV in letteratura. Procede riflettendo su come questi fattori di rischio possono essere esacerbati durante la pandemia Covid-19, il che può spiegare l'aumento del numero di segnalazioni. Infine, sottolinea le nuove sfide affrontate dagli operatori sanitari, mentre assistono le vittime di IPV durante la pandemia e fornisce possibili raccomandazioni sulle azioni da attuare durante e oltre la pandemia Covid-19 per prevenire tali casi.
Moreira DN, Pinto da Costa M. The impact of the Covid-19 pandemic in the precipitation of intimate partner violence. Int J Law Psychiatry. 2020 Jul-Aug;71:101606.
Il Parlamento Europeo ha approvato il 21 gennaio 20121 la nuova strategia UE per la parità di genere.
La strategia per la parità di genere 2020-2025, presentata a marzo 2020 dalla Commissione Europea, traccia le azioni chiave per porre fine alle discriminazioni e alla violenza di genere, per garantire pari partecipazione e opportunità nel mercato lavorativo e il raggiungimento dell’equilibrio di genere nel processo decisionale e politico.
Dati recenti dimostrano che la pandemia di covid-19 e i periodi di confinamento hanno portato ad un aumento della violenza contro le donne, del divario di genere nei lavori assistenziali non retribuiti, nonché altri potenziali impatti a lungo termine sul lavoro retribuito e sui redditi delle donne.
Vengono chieste misure vincolanti contro la violenze di genere. In particolare l’accesso a meccanismi sicuri ed efficaci per la denuncia e la risoluzione delle controversie, campagne informative, servizi di supporto per le donne vittime di violenza e azioni di risarcimento.
La Commissione propone inoltre che nel 2021 vengano poste in atto misure per raggiungere gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, nel caso non venga applicata da alcuni Stati membri.
Per quanto attiene al mercato del lavoro, si chiede che gli stipendi e le condizioni lavorative siano uniformati fra donne e uomini.
I deputati sono poi profondamente preoccupati per il contraccolpo a sfavore dei diritti delle donne in alcuni Paesi UE, in particolare per il diritto all'aborto e l'accesso ad un'educazione sessuale completa in Polonia e per la riforma adottata in Ungheria che attacca i diritti della comunità transessuale e intersessuale. Il PE chiede che la situazione dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere sia continuamente monitorata, comprese le campagne di disinformazione e le iniziative regressive in tutti i Paesi UE, e che venga messo a punto un sistema di allarme che avvisi quando questi diritti vengono negati.
La ricerca sulla violenza di genere ha identificato come componente principale che porta alla violenza un processo di socializzazione dominante che associa l'attrattiva agli uomini che mostrano comportamenti e atteggiamenti violenti, mentre gli uomini egualitari e non violenti sono svuotati di attrattiva. Questo è noto come discorso dominante coercitivo. Partendo dall'evidenza che il gruppo dei pari è un contesto principale di socializzazione nell'adolescenza, sono stati raccolti dati quantitativi in sei classi di istruzione secondaria (adolescenti di 14-15 anni) per esplorare se il discorso coercitivo dominante è presente nelle interazioni sociali nel gruppo dei pari e, in questol caso, come influenza i modelli di attrattiva e il comportamento sessuale-affettivo nell'adolescenza. Le analisi rivelano che il discorso dominante coercitivo è spesso riprodotto nelle interazioni del gruppo di pari, creando pressione di gruppo e spingendo alcune ragazze a relazioni violente. Vengono anche segnalate modalità di interazione alternative, che consentono una socializzazione che porta a più libertà, meno coercizione e relazioni più sane.
Racionero-Plaza, S.; Duque, E.; Padrós, M.; Molina Roldán, S. “Your Friends Do Matter”: Peer Group Talk in Adolescence and Gender Violence Victimization. Children 2021,8, 65
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Fra le tante conseguenze negative della pandemia di Covid-19, le restrizioni alla libera circolazione delle persone hanno peggiorato ulteriormente le situazioni di violenza all’interno delle mura domestiche. Molte donne si sono ritrovate recluse in casa, in compagnia di uomini violenti, maltrattanti, senza alcuna possibilità di abbandonare l’abitazione.
Il Centro Antiviolenza “Uscire dal Silenzio” di Settimo Torinese da dieci anni continua attraverso un’opera di volontariato a sostenere le donne vittime di violenza. Il Centro è nato nel 2011 come Associazione da un’idea della commissione di Pari Opportunità del Comune di Settimo, per aiutare le donne in situazioni di disagio e vittime di violenza.
L’Associazione continua a promuovere dal 2017 sul territorio i percorsi di crescita nelle scuole sugli stereotipi di genere. Laboratori rivolti alle classi seconde e quarte delle scuole primarie, con lo scopo di far riflettere i bambini e le bambine sui preconcetti legati al genere.
Tra le iniziative organizzate, vi è il progetto Calendario Maestre 2021. Il progetto è nato in collaborazione con un gruppo di insegnanti provenienti da tutta Italia. Dopo l’episodio della maestra vittima di revenge porn e di vittimizzazione secondaria da parte della dirigente scolastica e delle mamme dei propri alunni, le docenti hanno deciso di mettersi insieme per creare disegni volti a rappresentare la vita di una maestra nella sfera più intima e personale, proprio per contrapporsi all’idea che una maestra non possa avere una vita privata. Dall’idea è nato così un calendario la cui vendita andrà a finanziare le iniziative del Centro antiviolenza.
La ricerca, realizzata da Ipsos, indaga la percezione degli stereotipi di genere nelle opinioni e nei comportamenti degli adolescenti in Italia.
I risultati dell’indagine, condotta per conto di Save the Children su un campione di ragazzi tra i 14 e i 18 anni in Italia, sono stati diffusi il 24 novembre 2020.
Il 70% delle ragazze intervistate dichiara di aver subito molestie nei luoghi pubblici e apprezzamenti sessuali; al 64% di loro è capitato di sentirsi a disagio per commenti o avance da parte di un adulto di riferimento. Quasi un intervistato su 5 (18%) ha assistito a un episodio in cui un’amica è stata vittima di una forma di violenza In quasi un caso su dieci (9%) la paura ha impedito qualsiasi tipo di intervento.
Il 39% dei ragazzi e delle ragazze in Italia sono esposti online a contenuti che giustificano la violenza contro le donne, con una forbice che si allarga dal 31% dei maschi al 48% delle femmine. Tra le ragazze il 41% ha visto postare dai propri contatti social contenuti che l’hanno fatta sentire offesa e/o umiliata come donna (il 10% si è sentita maggiormente esposta durante il lockdown).
Il 15% degli adolescenti (il 21% tra i maschi e il 9% tra le ragazze) pensa che le vittime di violenza sessuale possano contribuire a provocarla con il loro modo di vestire e/o di comportarsi».
Rimane negli adolescenti (29%) la percezione che tutte le giovani sognino di sposarsi (lo pensa il 35% dei maschi a fronte del 23% delle ragazze) e che le ragazze debbano fare un figlio per sentirsi pienamente donne (ne è convinto il 17% dei ragazzi contro il 9% delle coetanee).
La violenza di genere tra i giovani è un problema di salute pubblica mondiale. I giovani sono sempre più esposti alla violenza nelle relazioni sessuali-affettive, sia stabili che sporadiche, e l'età delle vittime tende a diminuire. Questa esperienza di vita colpisce molti settori della vita dei giovani, come l'istruzione, le relazioni sociali e, in particolare, la loro salute fisica e mentale, con conseguenze che possono essere molto dannose a breve e lungo termine. Questa situazione ha dato origine a molti programmi antiviolenza per adolescenti e giovani, ma come hanno sottolineato alcune prestigiose organizzazioni mondiali, come l'American Psychological Association, molti di questi programmi non funzionano. Nell’articolo viene presentato un programma di socializzazione, preventiva della violenza di genere, rivolto agli adolescenti, che si è dimostrato efficace. Il programma era composto da sette interventi basati sull'impatto sociale delle prove sulla socializzazione preventiva della violenza di genere. È stato applicato a livello di gruppo in gruppi di adolescenti di 15-16 anni in tre scuole superiori a Barcellona. Gli interventi sono stati condotti nell'arco di un anno scolastico e hanno condiviso la caratteristica di discutere le prove della ricerca sulla socializzazione preventiva della violenza di genere con i giovani, attraverso il dialogo egualitario. Questi interventi hanno dimostrato di avere un effetto preventivo sugli adolescenti partecipanti, aumentando la loro coscienza critica riguardo a un discorso dominante coercitivo nella società che associa attrattiva e violenza, supportando la trasformazione dei loro ricordi di relazioni sessuali-affettive violente e fornendo strumenti per analizzare meglio le loro relazioni e quelle dei loro amici, sulla falsariga dell'identificazione della violenza di genere ed essere più preparati ad aiutare gli altri in questo senso. L’articolo descrive tutti gli interventi applicati.
Sandra Racionero-Plaza, Itxaso Tellado, Antonio Aguilera, Mar Prados. Gender violence among youth: an effective program of preventive socialization to address a public health problem[J]. AIMS Public Health, 2021, 8(1): 66-80.
ActionAid insieme a La Fabbrica (ente accreditato MIUR 170/2016) ha elaborato il corso di formazione online “SDG 5 e il ruolo della scuola nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere”, che si inserisce nelle Linee guida nazionali del MIUR per l'attuazione del comma 16 della legge 107 del 2015 per la promozione dell'educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere.
Secondo le parole di Corinne Reier, school expert di Youth for Love “Il corso nasce dalle attività formative e laboratoriali di Youth for Love che stanno continuando con dei webinar con docenti e studenti, per fornire ai e le docenti, anche coloro che non partecipano al progetto specifico, efficaci strumenti pratici e teorici per decostruire gli stereotipi di genere e sviluppare abilità e competenze, in particolare quelle di cittadinanza attiva, per il rispetto delle pari opportunità per tutte e tutti, contrastando fenomeni di bullismo e ogni altra forma di violenza o discriminazione”.
Durante il processo di crescita vari stereotipi perpetrati nella nostra società legati al genere, alla condizione sociale, all’origine, all’orientamento sessuale, condizionano i comportamenti e sono spesso alla base di violenza e bullismo. La violenza di genere tra i/le adolescenti è un fenomeno complesso che si manifesta in molteplici forme e colpisce milioni di bambine e bambini, famiglie e comunità (dati UNESCO e UN Women). L’intera comunità educante gioca un ruolo chiave nella prevenzione e nel contrasto alla violenza di genere. In particolare le scuole hanno la responsabilità etica e legale di prevenire la violenza di genere ed educare al rispetto e alle differenze e di gestire adeguatamente gli episodi di violenza attraverso programmi educativi e procedure facilmente attuabili, in collaborazione con attori chiave del territorio.