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L'ipocondria aumenta il rischio di mortalità e di tentativi di suicidio

L'ipocondria è uno stato ansioso dominato dall'eccessiva e infondata preoccupazione per la propria salute.


Un recente studio di popolazione ha dimostrato che per le persone affette da questo disturbo il rischio di mortalità aumenta dell'84%, e aumenta di 4 volte tanto il rischio di tentativi di suicidio.
Lo studio svedese ha coinvolto poco più di 4000 persone (di cui più della metà di genere femminile), di età media di 34,5 anni, alle quali era stata diagnosticata un'ipocondria (definita anche: disturbo d'ansia per la salute) tra gennaio 1997 e dicembre 2020; il gruppo di controllo comprendeva altrettante persone, non affette dal disturbo.
Il commento dei ricercatori, riguardo ai risultati statisticamente significativi: le persone affette da ipocondria hanno un rischio di morte aumentato, e ciò può sembrare un paradosso, poichè la paura pervasiva di ammalarsi e morire fa pensare a una sorta di protezione; queste morti possono essere potenzialmente oggetto di prevenzione, attraverso na maggiore attenzione ai sintomi somatici delle persone, che pur se immaginari possono comportare conseguenze serie.


Mataix-Cols D, Isomura K, Sidorchuk A, et al. All-Cause and Cause-Specific Mortality Among Individuals With Hypochondriasis. JAMA Psychiatry. Published online December 13, 2023. doi:10.1001/jamapsychiatry.2023.4744


 


 


L'efficacia dei programmi di prevenzione della violenza nei college: una metanalisi

Gli studenti universitari sono maggiormente a rischio di violenza sessuale anche a causa del loro coinvolgimento nelle attività sociali all'interno del campus. La recente legislazione, come il Campus SaVE Act (che richiede ai college statunitensi di offrire a tutti gli studenti in arrivo una formazione su violenza sessuale, violenza domestica, stalking e molestie sessuali), ha contribuito all'aumento dei programmi di prevenzione offerti nei campus post-secondari, così come le successive ricerche che hanno esaminato l'efficacia di questi sforzi di prevenzione. Il presente studio fornisce una revisione sistematica e una metanalisi dei programmi di prevenzione della violenza negli incontri nei college. Una ricerca sistematica su 28 banche dati e numerose fonti di letteratura grigia ha identificato 14.540 articoli iniziali, di cui 315 sono stati ritenuti potenzialmente idonei all'inclusione. Sono stati selezionati gli studi che (1) valutavano un programma/campagna di prevenzione della violenza negli incontri universitari, (2) riportavano uno dei cinque risultati (conoscenza, atteggiamenti, o efficacia dei bystander, intenzioni o comportamento), (3) avevano una dimensione minima del campione di 20 persone nel gruppo di trattamento, (4) utilizzavano un disegno pre/post e/o un gruppo di confronto e (5) erano stati pubblicati in inglese o francese tra gennaio 2000 e ottobre 2020. I risultati suggeriscono che i programmi di prevenzione della violenza negli incontri universitari siano efficaci nell'aumentare le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti della violenza negli incontri, così come le abilità dei partecipanti. I risultati delle analisi dei moderatori suggeriscono che diverse componenti del programma influenzano la forza degli effetti del trattamento. Vengono discusse le implicazioni per migliorare l'efficacia dei programmi di prevenzione della violenza negli incontri nei college.


Wong JS, Bouchard J, Lee C. The Effectiveness of College Dating Violence Prevention Programs: A Meta-Analysis. Trauma Violence Abuse. 2023 Apr;24(2):684-701. doi: 10.1177/15248380211036058. Epub 2021 Aug 3. PMID: 34342255; PMCID: PMC10009487


 


Conseguenze evolutive sui bambini della violenza del partner intimo

Numerosi studi associano l'esposizione infantile alla violenza del partner nelle relazioni intime (IPV) con un adattamento negativo nell’ambito della salute mentale, del funzionamento sociale e accademico. La revisione sintetizza questa letteratura e sottolinea il ruolo critico dell'autoregolazione infantile. Vengono discussi i principali problemi metodologici del campo, tra cui la mancata considerazione degli effetti dell'esposizione prenatale all'IPV e i limiti degli approcci trasversali e orientati alle variabili. Infine, viene presentato un modello teorico completo degli effetti dell'IPV sullo sviluppo dei bambini. Questo modello comprende tre percorsi meccanici, uno unico per l'IPV (rappresentazioni materne) e due coerenti con gli effetti di altri fattori di stress (salute mentale e funzionamento fisiologico della madre). Nel modello, gli effetti di questi tre percorsi sui risultati di adattamento del bambino sono mediati dalla genitorialità e dall'autoregolazione del bambino.


Bogat GA, Levendosky AA, Cochran K. Developmental Consequences of Intimate Partner Violence on Children. Annu Rev Clin Psychol. 2023 May 9;19:303-329. doi: 10.1146/annurev-clinpsy-072720-013634. Epub 2023 Feb 15. PMID: 36791766


La crescente ondata di ansia climatica: le azioni degli psichiatri

L'indagine nazionale statunitense "Climate Change in the American Mind: Beliefs and Attitudes", i cui risultati sono stati pubblicati sottoforma di Report a febbraio 2023 (https://climatecommunication.yale.edu/publications/climate-change-in-the-american-mind-beliefs-attitudes-december-2022/), ha rilevato che il 64% della popolazione dichiarava di sentirsi "alquanto preoccupato" rispetto al surriscaldamento globale, e il 27% di dichiarava "molto preoccupato". Inoltre, 1 americano su 10 asseriva di aver avuto sintomi ansiosi e/o depressivi collegati al cambiamento climatico, che li aveva spinti a cercare aiuto dal punto di vista emozionale e supporto sociale.



A seguito di questi risultati, ci sono state varie risposte e iniziative.



  • un gruppo di psichiatri - con capofila l'università di San Francisco, California - ha deciso di occuparsi dell'impatto degli eventi climatici estremi a livello psichiatrico, in aggiunta all'attenzione già manifestata verso le conseguenze a livello emotivo, attraverso una raccolta e analisi degli studi e delle evidenze sullo stress derivante dal cambiamento climatico (climate distress) e sulle conseguenze negative a livello di salute mentale (insorgenza o aggravamento di disturbi). Ad esempio, un recente studio  (Schizophrenia pinpointed as a key factor in heat deaths | Science | AAAS) svolto nella British Columbia durante le ondate di calore estremo del 2021 ha evidenziato che su 280 morti il 13% soffriva di schizofrenia, persone che perdono la capacità dell'auto-regolazione termica, a cui si aggiunge l'aumento della temperatura corporea causato da alcuni farmaci antipsicotici. Altri studi hanno evidenziato che i tassi di suicidio e di violenza aumentano durante i periodi caratterizzati da ondate di calore.


 Un altro gruppo impegnato sul tema è la CPA - Climate Psychiatry Alliance (https://www.climatepsychiatry.org/), un'organizzazione il cui obiettivo è formare/aggiornare i professionisti della salute mentale e informare la popolazione circa i rischi psichiatrici della crisi climatica, oltre a spingere per migliorare le politiche ambientali e orientarle al riconoscimento del collegamento tra benessere dell'ambiente e salute mentale.


 



  •  a marzo 2023 l'APA - American Psychiatric Association ha pubblicato un documento ufficiale di indirizzo su salute mentale e cambiamento climatico, in cui affermava che "devono essere fatti gli sforzi necessari per ridurre la velocità con cui avanza il cambiamento climatico, potenziare le infrastrutture, e sviluppare un piano per contrastare/limitare gli effetti degli eventi meteorologici estremi sulla salute mentale". Sono in fase di stesura anche altri documenti di indirizzo con l'obiettivo di persuadere la stessa APA a disinvestire sull'uso del carbon fossile e ridurre in maniera significativa la propria impronta ecologica durante il meeting annuale, entro il 2030. Infine, è stato realizzato un efficace video.


Il Position Statement Climate Change and Mental Health connections e il VIDEO sono visibili sulla pagina di APA: https://www.psychiatry.org/patients-families/climate-change-and-mental-health-connections


 



 


La mancanza di visite da parte di familiari e amici aumenta il rischio di morte

Numerosi studi hanno identificato un'associazione tra varie cause di mortalità e due fattori quali il vivere da soli e la percezione di un senso di solitudine. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Glasgow ha approfondito questo ambito indagando l'impatto dell'assenza di interazioni sociali sulla mortalità prematura, ed evidenziando un rischio di morte maggiormente per le persone che ricevono raramente - o non ricevono mai - visite da parenti o amici.



Lo studio scozzese ha analizzato i dati di quasi 460.000 adulti (età media: 56 anni), estratti dalla biobanca del Regno Unito degli studi di coorte, riguardanti il periodo dal 2006 al 2010.


Ai partecipanti veniva chiesto di rispondere a un questionario su 5 tipi di interazione sociale, misurati attraverso indicatori soggettivi e oggettivi, e inerenti: l'esistenza di qualcuno/a con cui potersi confidare; la sensazione di sentirsi spesso soli; la frequenza di visite ricevute da familiari e amici; lo status di persona che vive da sola; la frequenza della partecipazione ad attività di gruppo settimanali. I risultati dei questionari sono stati incrociati con i dati dei registri di mortalità.
Al follow up intermedio (dopo 12 anni), il 7,2% dei partecipanti erano morti.

Le 5 tipologie di interazione sociale sono state identificate come associate in maniera indipendente a tutte le cause di morte, tra cui una cospicua parte attribuita a problemi cardiovascolari.
L'assenza di connessioni sociali aumenta il rischio: in specifico



  • l'associazione più forte riguardava le persone che non ricevevano mai visite nè da parenti nè da amici (rischio di morte aumentato quasi del 40%)

  • per le persone che ricevevano una visita almeno una volta al mese il rischio di morte si riduceva, a causa dell'effetto protettivo

  • il rischio era ancora più elevato (77%) per le persone che non ricevevano mai alcuna visita e che vivevano da sole, per le quali perciò questa doppia assenza influiva negativamente sui potenziali benefici derivanti dalle altre interazioni positive quali ad esempio l'esistenza di qualcuno/a con cui confidarsi o la partecipazione costante ad attività di gruppo.


I ricercatori concludono: familiari e amici possono offrire un tipo di supporto specifico, ad esempio aiutando la persona ad accedere ai servizi sanitari, migliorando la qualità della vita affettiva e relazionale. Forniscono anche un'ipotesi sul meccanismo: la disconnessione sociale e gli esiti di salute potrebbero essere collegati attraverso gli effetti sul sistema immunitario o sui comportamenti di salute (le persone socialmente isolate potrebbero adottare in misura maggiore comportamenti non salutari, come fumare o abusare di alcolici) .


 Foster, H.M.E., Gill, J.M.R., Mair, F.S. et al. Social connection and mortality in UK Biobank: a prospective cohort analysis. BMC Med 21, 384 (2023). https://doi.org/10.1186/s12916-023-03055-7