Lavoro temporaneo e stranieri: rischio di infortunio e possibili effetti della crisia cura di Luisella Gilardi, DoRS; Massimiliano Giraudo, Antonella Bena, Servizio di EpidemiologiaPubblicato il 16 Novembre 2012Aggiornato il DatiIl punto della situazioneLo studio di Giraudo e Bena BibliografiaIl punto della situazioneIl cambiamento della struttura dell’occupazione all’interno del mercato del lavoro, l’incremento di nuove forme di lavoro precario hanno determinato più impieghi temporanei e turnover. Questo ha fatto sì che molti lavoratori si siano trovati ad affrontare più frequentemente, rispetto al passato, nuove situazioni lavorative. Sono stati realizzati alcuni studi per capire se questa condizione (l’essere neo-assunto) abbia un effetto sulla salute del lavoratore.Uno dei più rilevanti è la nuova ricerca dell’ Institute for Work & Health (IWH) canadese che ha esaminato gli infortuni avvenuti in 10 anni, dal 1999 al 2008, in Ontario attingendo i dati dal sistema informativo per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.I risultati mostrano che, sebbene il tasso degli infortuni indennizzati e delle malattie professionali sia in fase discendente, chi inizia un nuovo lavoro ha un rischio maggiore di avere un infortunio rispetto alle persone con più esperienza. Il rischio è particolarmente elevato nel primo mese di lavoro rispetto a chi lavora da più di un anno (più di tre volte superiore). Interessante anche l’aspetto legato all’età, le persone più a rischio sono gli uomini che hanno più di 45 anni nel primo mese di lavoro, che svolgono un compito manuale e sono impiegati nella produzione di beni di consumo che comprende fra gli altri anche il settore manifatturiero e quello edile.Rispetto all’età, lo studio mette in luce che, anche per periodi lavorativi più lunghi, il rischio è maggiore per chi ha più di 25 anni. Gli autori forniscono alcune spiegazioni a riguardo. Probabilmente i lavoratori meno giovani, dai 25 anni in su, che si trovano ad affrontare un nuovo lavoro si adattano meno rapidamente al nuovo ambiente e alle nuove mansioni, oltre ad avere una maggior vulnerabilità fisica. Un’ulteriore spiegazione fornita dagli autori è che ai lavoratori meno giovani siano affidati compiti più pericolosi con l’erronea percezione che siano più esperti (1). Anche gli studi che hanno esaminato le differenze negli esiti di salute tra lavoratori stranieri e i nativi descrivono una situazione sfavorevole per i primi. Smith e Mustard in uno studio del 2009 rilevano che in Canada il rischio di infortunio sul lavoro è doppio fra gli uomini immigrati nei primi 5 anni di lavoro in confronto ai nativi (2). In Italia il numero di immigrati è aumentato molto negli ultimi 20 anni, da 650.000 agli inizi degli anni 90 a più di 4,5 milioni nel 2011 rappresentando attualmente il 7,5% della popolazione nazionale.Gli uomini immigrati sono impiegati, per la maggior parte, nel settore delle costruzioni, nel commercio e nel turismo mentre le donne trovano lavoro nell’assistenza domestica (pulizie, cura degli anziani, babysitter) e nel settore alberghiero. Il recente studio di Salvatore e colleghi ha analizzato i dati raccolti attraverso le survey trimestrali dell’ISTAT sulla forza lavoro del 2007. La popolazione in studio è costituita da 60.528 persone, di questi 2.195 (il 3.6% del totale) sono immigrati da paesi ad alta pressione migratoria. Il rischio di infortunio per gli uomini immigrati che lavorano nel comparto costruzioni è circa il doppio rispetto ai lavoratori italiani, e circa 9 volte più alto nel caso di muratori non qualificati. Gli immigrati, inoltre, hanno un rischio maggiore di infortunio nel primo anno di lavoro, che decresce negli anni successivi (in un periodo compreso tra i 2 e i 9 anni) e aumenta nuovamente dopo 10 anni di lavoro. Rispetto a quest’ultimo dato gli autori suggeriscono la possibilità che subentri un logoramento fisico dovuto al fatto di svolgere mansioni più rischiose e faticose. Possono anche incidere fenomeni di segregazione e atteggiamenti discriminatori (3).Lo studio di Giraudo e Bena In questo contesto si inserisce il lavoro di Giraudo e Bena, presentato al recente Congresso Italiano di Epidemiologia di Bari. Lo studio ha lo scopo di descrivere il rischio infortunistico nei lavoratori stranieri con particolare attenzione agli effetti legati alla durata del rapporto di lavoro. I metodi Per far questo è stato estratto dagli archivi Inps un campione corrispondente al 7% dei lavoratori nel settore privato, per cui è stata ricostruita la carriera lavorativa dal 1985 al 2005. A questi soggetti sono stati agganciati, tramite record linkage su base individuale (mediante il codice fiscale criptato), gli infortuni sul lavoro accaduti tra il 1994 e il 2005, estratti dagli archivi Inail. Il database ottenuto, chiamato Whip-Salute, contiene circa 1.200.000 episodi lavorativi e 38.000 infortuni per ogni anno. I lavoratori sono stati classificati basandosi su un precedente studio che distingue i paesi a forte pressione migratoria (PFPM) da quelli a sviluppo avanzato (PSA). Le analisi sono ristrette ai lavoratori dipendenti, maschi e operai nell'ultimo periodo disponibile (2000-2005). È stato studiato il rischio infortunistico complessivo, ed in seguito è stata realizzata un’analisi degli infortuni gravi. Sono stati calcolati i rischi relativi grezzi e controllati per area geografica, anno età e caratteristiche dell'impiego (attività economica, dimensione d'impresa, retribuzione mensile e anzianità aziendale). I risultati Rispetto ai lavoratori italiani, i lavoratori stranieri sono maggiormente concentrati in alcuni settori (costruzioni), lavorano in imprese con un minor numero di addetti, hanno una retribuzione più bassa. Inoltre presentano una durata del rapporto di lavoro più breve (proporzione di lavoratori con rapporti di lavoro di durata superiore ai 3 anni: PSA: 60% PFPM: 28%). Le analisi mostrano un maggior rischio infortunistico nei paesi a forte pressione migratoria in entrambe le classi d’età considerate (16-35; 36-55). Nei giovani il rischio infortunistico grezzo dei lavoratori stranieri è pari a 1,29; controllando per tutte le variabili confondenti diventa 1,07 (CI 95%: 1,04-1,10). Nei lavoratori oltre i 35 anni il rischio grezzo nei paesi a forte pressione migratoria è pari a 1,64; controllando per tutte le caratteristiche diventa 1,30 (CI 95%: 1,27-1,33). È stato quindi analizzando il legame tra rischio infortunistico e durata del contratto nei giovani sotto i 35 anni. I risultati ottenuti indicano che il rischio diminuisce nei lavoratori provenienti da paesi a sviluppo avanzato all’aumentare dell’anzianità aziendale. I lavoratori con contratti superiori a 3 anni hanno un rischio inferiore del 20% rispetto a coloro che hanno contratti inferiori a 3 mesi. Tra i lavoratori stranieri invece il rischio infortunistico non cambia all'aumentare dell'esperienza all'interno del rapporto di lavoro. Le differenze di rischio relativo tra paesi a forte pressione migratoria e paesi a sviluppo avanzato aumentano all’aumentare della durata del contratto. Tali differenze sono legate a fenomeni di segregazione dei lavoratori stranieri nelle mansioni e nei compiti più pericolosi. Essi avrebbero anche minori capacità di sfruttare positivamente le conoscenze acquisite tramite la formazione e l’accumulo di esperienza. Le conclusioni Per la prima volta in Italia sono possibili analisi longitudinali del rischio infortunistico nei lavoratori stranieri. Tra il 2005 e il 2010 la proporzione di lavoratori stranieri è quasi raddoppiata (dal 5,2% al 9,1%). Tali lavoratori si sono però concentrati in mansioni di basso livello, e risultano essere particolarmente vulnerabili a fenomeni come l'instabilità lavorativa e la precarietà. Quindi molto probabilmente le difficoltà individuate nello studio nel periodo pre-crisi si sono ulteriormente aggravate negli anni successivi. Dall'analisi dei dati di letteratura e da questo studio emerge un messaggio molto chiaro: i neo assunti, anche se non al loro primo impiego, devono essere adeguatamente formati ed informati sui rischi connessi con il nuovo lavoro; azione che deve essere rafforzata nel caso di lavoratori stranieri.Bibliografia1) Morassaei S, Breslin FC, Shen M, Smith PM. Examining job tenure and lost-time claim rates in Ontario, Canada, over a 10-year period, 1999-2008. Occup Environ Med. 2012 Nov 2 2) Smith PM, Mustard CA. Comparing the risk of work-related injuries between immigrants to Canada and Canadian-born labour market participants. Occup Environ Med. 2009 Jun;66(6):361-7 3) Salvatore MA, Baglio G, Cacciani L, Spagnolo A, Rosano A. Work-Related Injuries Among Immigrant Workers in Italy. J Immigr Minor Health. 2012 Jul 3. Siti utili 1) Institute for Work & Health. Immigrant workers and workplace health and safety 2) Institute for Work & Health. "Newness” and the risk of occupational injury.TAG ARTICOLO