Annoiarsi a morte
a cura di Lidia Fubini, DoRS

Lo studio di cohorte “Whitehall Study” si è svolto in Gran Bretagna dal 1967 al 1977, ed aveva come obiettivo primario di indagare i determinanti sociali di salute della popolazione degli impiegati della pubblica amministrazione, con particolare attenzione alle malattie cardiorespiratorie e ai tassi di mortalità correlati. I dati sono stati ottenuti mediante la somministrazione di specifici questionari (Studio Whitehall I).

 

L’ultima versione del questionario, utilizzato negli anni 1985-88 (Studio Whitehall II), conteneva anche domande sullo stato di noia personale. E’ stato somministrato ad un campione di impiegati della fascia d’età 35-55 anni, cui è stato chiesto quanto si fossero annoiati nelle ultime 4 settimane. Le 4 possibili risposte erano: per niente, un po’, abbastanza, per tutto il tempo.

Vent’anni dopo, i dati ottenuti da questa indagine, sono stati incrociati con i dati di mortalità del registro del National Health Service (NHS, il Servizio Sanitario Nazionale inglese). I dati di mortalità per tutte le cause sono stati analizzati fino al mese di aprile 2009. Dall’analisi sono stati esclusi tutti quelli che avevano già avuto degli eventi cardiovascolari al momento dell’indagine, e in seguito il campione è risultato di 7524 persone tra uomini e donne.

 

Viene riportato che coloro che hanno dichiarato di annoiarsi di più erano tendenzialmente più giovani, più frequentemente donne, con uno stato di salute percepita più basso, con mansioni lavorative di più basso livello, e che praticavano attività fisica molto raramente.

 

Viene anche riportato che la mortalità di tali individui durante il periodo di follow up, era più alta rispetto al resto del campione con un allarmante rischio di 2,53 per mortalità dovuta ad eventi cardiovascolari.

 

Gli autori concludono che coloro che si annoiano di più hanno una più alta probabilità di morire giovani.

 

La lettura di questi risultati deve tuttavia essere correttamente interpretata: l’inclinazione alla noia è infatti certamente un indicatore di altri fattori di rischio o di aspetti della vita non facilmente modificabili. Inoltre, soprattutto tra i giovani, può essere indicativa di stili di vita non salutari come l’abitudine al fumo o la dipendenza da droghe o associabile a profili psicologici di scarsa stabilità, come ansietà e depressione.

 

Questi risultati sottolineano anche l’importanza di aiutare le persone a ritrovare interessi sociali e lavorativi in modo da contribuire a migliorare la salute riducendo il rischio di annoiarsi - a morte -.

 

Annie Britton and Martin J Shipley Bored to death? International Journal of Epidemiology 2010;1–2


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