I rischi lavorativi ai tempi della crisia cura di Lidia Fubini, DoRSPubblicato il 01 Settembre 2009Aggiornato il RecensioniNell’attuale situazione di crisi economica, le organizzazioni europee non possono permettersi di dimenticare la sicurezza sul lavoro: questo è l'avvertimento pubblicato dal direttore dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EU-OSHA). Nella relazione annuale dell'Agenzia per il 2008, Jukka Takala scrive che le società dovrebbero pensare con attenzione prima di tagliare i loro investimenti nella sicurezza e salute sul lavoro (SSL): “Non ha senso realizzare guadagni a breve termine al prezzo di avere problemi a lungo termine”, scrive. “Tutto il nostro lavoro dimostra che più i luoghi di lavoro sono salubri, più tendono ad essere anche maggiormente produttivi.” EU-OSHA ha come missione quella di rendere l'Europa un posto in cui è più sicuro, sano e produttivo lavorare, raccogliendo e divulgando informazioni sulla SSL, oltre ad esempi di buone prassi. Le attività dell’Agenzia si rifanno alla Strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro 2007-2012, che mira a ridurre gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali in Europa. Il peso della crisi economica sulla salute dei lavoratori è misurabile sia in termini di infortuni sul lavoro e malattie professionali, sia in termini di rischi psicosociali. Questi ultimi sono stati studiati dall’Associazione “Healthy Enterprises in a Healthy Europe” e alcune pratiche per la prevenzione sono discusse nell’articolo: “Promoting Mental Health at Work in Times of Crisis”. Vengono presi in considerazione ampi problemi, come l’aumento dello squilibrio tra classe lavorativa e classe dirigente, l’aumento delle diseguaglianze salariali, l’aumento della mobilità residenziale dei lavoratori, e ovviamente, il drammatico aumento della disoccupazione con generale senso di ansietà rispetto al futuro. I sintomi a livello aziendale possono includere, oltre al decremento dei profitti, l’aumento dei costi e l’impoverimento delle scorte. Altre tipiche reazioni sono la diminuzione della formazione, le sospensioni dal lavoro, il congelamento dei salari, l’aumento nel numero dei lavoratori part-time e a contratto. Dal punto di vista individuale i sintomi possono essere la mancanza di motivazione e di impegno, l’aumento degli infortuni, l’aumento dell’assenteismo, la riduzione generale della soddisfazione lavorativa. A incidere maggiormente su questi problemi sono le azioni di riorganizzazione aziendale, che possono comprendere: · trasloco dell’azienda, nello stesso Paese o in altri, · esternalizzazione del lavoro, o trasferimento di alcune attività ad altre aziende (outsourcing), · fusioni aziendali, · ristrutturazione dell’organizzazione interna con eliminazione di alcune posizioni lavorative, · espansione delle attività aziendali, · bancarotta e chiusura. La Fondazione Europea per il Miglioramento delle Condizioni di Vita e di Lavoro (Eurofound), ha di recente pubblicato, tramite il Centro per il Monitoraggio delle Ristrutturazioni Aziendali (European Restructuring Monitor (ERM), un report di buone pratiche per minimizzare l’impatto dei cambiamenti in atto, “ERM case studies: Good practice in company restructuring”. In tutti i casi, il fattore chiave è la consultazione con i lavoratori. I casi analizzati vertono su tutte le fasi del processo di ristrutturazione aziendale, e i concetti sottolineati riguardano essenzialmente: · l’avvertimento anticipato del lavoratore, in accordo con le parti sociali e le leggi regionali, · l’aiuto e il supporto al lavoratore, includente opzioni per la formazione e la riqualificazione professionale, · la compensazione finanziaria al lavoratore, · il supporto finanziario alle aziende da parte del governo per minimizzare l’effetto della riorganizzazione sui lavoratori e sulla comunità, · le azioni da parte delle autorità pubbliche locali per creare nuovi lavori e nuove occasioni di investimento per le aziende e per la strategia di sviluppo locale, · la valutazione dell’efficacia delle azioni intraprese.TAG ARTICOLO