Prevenire il suicidio: uno sguardo sugli adolescenti
Gli interessanti contenuti in - Uno sguardo sull’adolescenza- convegno organizzato dall’associazione La Tazza Blu.
a cura di Rita Longo e Marina Penasso, Dors

Cosa è emerso dal convegno

Il 10 settembre 2019, in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, si è svolto a Torino il partecipatissimo convegno “Uno sguardo sull’adolescenza” organizzato dall’associazione La Tazza Blu, col patrocinio della Città di Torino. L’associazione è stata fondata e fortemente voluta da Rocchina Stoppelli e Francesco De Maria, genitori di Giulia, studentessa del Liceo Cavour, che, nel 2017, si è tolta la vita poco prima di compiere 17 anni.

Obiettivo del convegno –  in linea con la mission dell’associazione – era “porre l’attenzione sulla prevenzione del suicidio in adolescenza”, col coinvolgimento dei rappresentanti di vari ambiti (scuola/università, sanità, etc.) i quali avevano il compito di analizzare le cause del malessere dei giovani e diffondere i risultati delle recenti ricerche.

Gli interventi previsti erano “densi” di contenuto e variegati in termini di provenienza professionale, dando l’idea di una solida, motivata e competente rete di alleanze e collaborazioni avviata sul territorio.  

Il convegno è iniziato con i saluti istituzionali da parte di alcuni rappresentanti della Città Metropolitana di Torino (Barbara Azzarà, Consigliera delegata; Viviana Ferrero del Consiglio Comunale), di un rappresentante del Nucleo di Prossimità della Polizia (Valter Bouquiè) e dell’ex dirigente di un liceo torinese (Emanuela Ainardi, Liceo Cavour),

I partecipanti hanno inquadrato l’evento in una prospettiva più ampia che concerneva i contatti avviati con l’associazione e l’opportunità/necessità di tenere viva l’attenzione su questo tema a livello politico e operativo, focalizzandosi sull’importanza di:

  • Fare rete e di utilizzare i canali giusti (“riuscire a trovare le parole”) per coinvolgere tutti gli stakeholder;
  • dar fiducia” ai ragazzi e alle ragazze, e riconoscere la “fatica/malessere del crescere”;
  • ricostruire il tessuto dopo l’evento traumatico di un suicidio, provare a ristabilire per quanto possibile un equilibrio all’interno del contesto scuola;
  • contrastare il “tabù” del non dire”;
  • aiutare gli adulti a riconoscere il malessere dei ragazzi e delle ragazze.

Il programma prevedeva alcuni interessanti interventi da parte di rappresentanti del mondo clinico (Servizi di Neuropsichiatria Infantile aziendali e ospedalieri) e del mondo della ricerca universitaria che hanno argomentato e discusso il tema a partire dalla propria esperienza professionale e umana, e con forte aderenza ai risultati degli studi e alle evidenze della letteratura.

Il direttore del servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale Regina Margherita di Torino, Benedetto Vitiello, ha evidenziato alcuni dati locali: le statistiche dell’ospedale dimostrano che dai 14 anni in poi aumentano i casi di tentato suicidio e suicidio. Ma ampliando il raggio di analisi, si è visto che negli ultimi anni nei Paesi UE c’è stata un’impennata nella fascia di età 15 – 19 anni. In Italia, in particolare, il suicidio è la seconda causa di morte per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. I dati forniti dall’Istat dimostrano che su 4mila suicidi l’anno, oltre il 5% è compiuto da ragazzi sotto i 24 anni, e tra gli adolescenti è in aumento anche il fenomeno dell’autolesionismo.

Sono stati inoltre presentati alcuni studi che dimostrano che la prevenzione è possibile ma difficile, perché “ogni caso è unico”, e non sempre si riesce a comprendere COME raggiungere il giovane che si sente “intrappolato”.

Sono stati individuati:

  • alcuni fattori di rischio, articolati in 3 livelli: sintomi depressivi (non aver speranza, non sentirsi degno/a, non provare piacere, ecc.); ansia; influenza del contesto (es. presenza di armi)
  • alcuni fattori protettivi: la connectedness cioè “essere connessi” con l’ambiente scolastico e con gli amici; avere buone relazioni in famiglia; credere in principi e valori; possedere le cosiddette coping skills, cioè abilità psicosociali che fanno sentire “in grado di”; poter chiedere e ricevere supporto sociale.

I due direttori dei servizi di Neuropsichiatria Infantile (NPI) dell’ASL città di Torino,. Orazio Pirro (area sud) e Maria Baiona (area nord) hanno richiamato l’attenzione su:

  • l’esistenza dei fattori predittivi, in particolare l’ideazione suicidaria, a cui porre estrema attenzione; ma è importante sapere che non sempre e non solo c’è una associazione con fattori psicopatologici, ed è “più facile” prendere in carico i ragazzi e le ragazze che giungono ai servizi sanitari
  • le caratteristiche neuro-fisiologiche (ad es. la corteccia prefrontale non è ancora sviluppata nell’adolescenza, impulsi ed emozioni regnano sovrani) e gli aspetti psicologici dello sviluppo adolescenziale (in particolare il potere esplosivo di un “blocco delle funzioni evolutive” associato a una fragilità narcisistica)
    che espongono i giovani a situazioni di fragilità e rischio
  • importanti fattori preventivi quali ad esempio un clima familiare basato non sul controllo ma su affetto, ascolto, supporto, accoglienza, e la creazione di legami veri, soprattutto tra coetanei
  • il fenomeno dell’emulazione/romanticizzazione del suicidio, che può fare aumentare il rischio di suicidi (ad es. negli Stati Uniti è frequente la “celebrazione” dei ragazzi che si sono suicidati, i quali diventano quelli bravi e incompresi, se ne enfatizza la mancanza, e nei compagni potrebbe nascere il desiderio di essere a loro volta ricordati così)

Antonella Anichini, dirigente medico di Neuropsichiatria infantile all’Ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino, , ha proposto al pubblico un excursus letterario sul mondo dell’adolescenza, con suggestive e potenti citazioni:

  • Il legame è il più potente antidoto per chi vuole uccidersi” (Pietropolli Charmet)
  • Le lesioni corporali sono come delle grida, urlate nella carne ogni volta che manca il linguaggio” e “il trauma genera vergogna, questa distrugge le parole” (LeBreton, 2005).

A Torino e provincia i tentativi di suicidio sono in vertiginoso aumento. Nei primi otto mesi del 2019, 28 ragazzi sono stati ricoverati al Regina Margherita a seguito di un tentativo suicidario grave

Tra il 2009 e il 2019, inoltre, sempre nella stessa struttura ospedaliera, a seguito di tentativi suicidari, sono state ricoverate 117 ragazze e 34 ragazzi, con un’età media di 14 anni e mezzo.

L’esperienza del servizio ospedaliero di NPI consente di ricavare alcune informazioni sulle azioni/percorsi da avviare nei casi di tentato suicidio da parte di adolescenti:

  • Con un lavoro di tipo psicologico di circa un anno – grazie al legame di fiducia instaurato - può emergere quella parte del Sé del/la ragazzo/a che vuol vivere (nonostante dica “voglio morire”), ma che “è ostaggio della parte addolorata”.
  • Dopo il primo tentativo di suicidio c’è un elevato rischio di riprovarci (come ci dicono i dati del pronto soccorso); è necessario perciò trovare “un posto” subito dopo il passaggio al pronto soccorso. Viene citato il progetto “Un ponte tra ospedale e territorio” con Casa Oz di Torino come servizio a bassa soglia che accoglie i ragazzi e le ragazze con laboratori espressivi e sostegno scolastico. Viene proposta inoltre una formazione con gli insegnanti per i ragazzi e le ragazze che riprendono a frequentare dopo un tentativo di suicidio.

Questo passaggio e altri sono indicati e descritti all’interno delle Linee Guida per la prevenzione del suicidio in adolescenza, un importante e illuminante documento realizzato all’interno del progetto Eurogenas, la cui redazione è stata curata da Eva Dumont e Gwendolyn Portzky del Dipartimento di Ricerca sul Suicidio dell’Università di Gent.

Da un punto di vista “culturale”, necessario sfatare i falsi miti (non corrispondono a verità):

  • chi parla di suicidio non lo farà mai
  • il suicidio è una reazione normale a una situazione anormale
  • parlare di suicidio con qualcuno aumenta il rischio di comportamento suicidario.

È altresì necessario diffondere il concetto di normopatia = normalità sofferente (quale ad esempio la crescita), che è ben diversa da una psicopatologia psichiatrica (50 – 60 % dei ricoverati in ospedale per TS/tentativi di suicidio nel decennio 2009 – 2019).

Un altro concetto emerso sicuramente degno di approfondimento è quello del “wood wide web” che nasce nel contesto degli studi botanici ed ecologici e si estende all’ambito psicologico, e fa riferimento all’essere connessi (“connectedness”) e al suo potenziale protettivo e preventivo.

Gli ultimi due interventi hanno visto i due ricercatori, il prof. Longobardi del dipartimento di psicologia dell’università di Torino e la dott.ssa Morese dell’università della Svizzera italiana di Lugano.

Gli studi e le ricerche consentono di dire che:

  • l’idea suicidaria aumenta drasticamente dai 10 anni di età
  • dal punto di vista della psicodiagnosi, c’è un collegamento tra disturbo dirompente e risposta disadattiva allo stress in fase adolescenziale; in altre parole, c’è una maggiore vulnerabilità esacerbata dalla tensione dei cambiamenti puberali e dalla maggiore sensibilità a stimoli occasionali esterni)
  • è presente una forte presenza di processi cognitivi, come la ruminazione, associati all’idea suicidaria
  • sono necessarie strategie di prevenzione differenziate per maschi e femmine. Il progetto SEYLE – Saving and Empowering Young Lives in Europe coinvolge 10/11 Paesi UE e prevede finanziamenti per intervenire sull’ideazione suicidaria in preadolescenza e adolescenza.

Le neuroscienze sociali forniscono ricerche aggiornate sull’ideazione suicidaria:

  • mentre è in corso un’ideazione suicidaria, analogamente alle esperienze di esclusione sociale, si riattivano le stesse aree cerebrali di quando c’è un dolore fisico)
  • possibilità di prevedere l’ideazione suicidaria in adolescenza - correlazione tra scarsa capacità di regolazione delle emozioni e ideazione suicidaria a livello neurofisiologico (- la non regolazione delle emozioni fa vivere in maniera più intensa le esperienze negative).

Alcuni messaggi chiave emersi dagli interventi dei vari relatori e dei partecipanti, che possono essere considerate delle raccomandazioni:

  • Costruire futuro (e presente) coi ragazzi attraverso una riorganizzazione della speranza, ognuno con la propria funzione o ruolo
  • per gli operatori: non perdere la capacità di pensare, …ne hanno tanto bisogno i ragazzi che invece sono nel pieno del flusso della crescita violenta e disordinata (es. messa in atto di comportamenti sfidanti quali uso di sostanze, bullismo, etc.)
  • costruire reti per capire come/dove stanno vivendo i ragazzi: fondamentale il lavoro dei pari che parlano la stessa lingua e hanno maggiore possibilità di convincere.

L’esperienza clinica e la letteratura evidenziano come, avvolti da un clima di attenzione e ascolto empatico, molti di coloro che decidono di morire, sceglieranno di vivere (fonte: www.prevenireilsuicidio.it).

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Sul Progetto Seyle:

Riferimenti bibliografici:

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