La promozione della resilienza per gli utenti e gli operatori della salute mentale: l’esperienza di Milanoa cura di Rita Longo e Marina Penasso, DoRS; Maurizio Marino, Servizio di Epidemiologia ASL TO3Pubblicato il 13 Aprile 2013Aggiornato il Il convegnoInterventi del mattinoWorkshop del pomeriggioConclusioniBibliografia e sitografiaIl convegnoIl convegno era organizzato da “Relazione Impresa Sociale” (nata nel 2008 dalla collaborazione tra Fondazione Enaip Lombardia e l’A.S.P.R.U. - associazione per lo studio e la promozione delle risorse umane - Risvegli onlus), società attiva in Lombardia nell’assistenza sanitaria, con servizi residenziali e ambulatoriali convenzionati rivolti a persone con problematiche di dipendenza. Obiettivo del convegno era diffondere le conoscenze e le prassi inerenti il tema della resilienza, con particolare attenzione alla figura dell’operatore impegnato nella “cura” (educazione, riabilitazione, psicoterapia, ecc.). Il convegno prevedeva al mattino interventi magistrali e al pomeriggio workshop teorico-pratici. Ecco un resoconto degli interventi e di alcuni dei workshop.Interventi del mattinoMario Melazzini (Assessore alla Sanità della Regione Lombardia) ha testimoniato la propria esperienza personale di gestione efficace della malattia (Sclerosi Laterale Amiotrofica), definendo la resilienza come un valore aggiunto nella quotidianità. Concetti correlati trattati: la speranza (sentimento confortante che deriva dallo scorgere il cammino verso una condizione migliore, secondo J. Groopman) intesa come strumento di vita e strumento di quotidianità che ha bisogno dell’azione dell’uomo per farla emergere, lo sguardo all’interno della relazione di cura (che dà dignità alla persona malata, ma anche al medico a cui questi si affida); proprio lo sguardo può alimentare la speranza diventando strumento di cura. La riflessione metteva anche in luce la tendenza a valutare la qualità della vita delle persone utilizzando spesso elementi quali l’efficienza economica, la prestazione fisica efficiente, la godibilità estetica, trascurando le dimensioni relazionali, spirituali e religiose dell’esistenza (delle quali la resilienza fa parte), che invece sono fondamentali soprattutto per le persone con disabilità e problematiche di tipo psico-fisico. Salvatore Natale Bonfiglio (Ph.D Università di Pavia e consulente scientifico presso Relazione Impresa Sociale) ha presentato un modello di lavoro orientato alla resilienza, nato a partire da una ampia ricerca scientifica. Il modello, implementato in alcune comunità terapeutico riabilitative per le polidipendenze presenti sul territorio lombardo, è presentato nel volume “La resilienza tra rischio e opportunità. Un approccio alla cura orientato alla resilienza” scritto dallo stesso Bonfiglio, dalla dott.ssa Roberta Renati e da Pietro M. Farneti. Tale modello, denominato MOR (Modello Orientato alla Resilienza), poggia principalmente sulla teoria di Milton Erickson, che prevede: un approccio esperienziale (importanza delle esperienze vissute), il principio di unicità dei vissuti dell’individuo e dei significati attribuiti, il principio di integrità (l’individuo non è solo la patologia), il concetto di “tailoring” (l’intervento su misura, progettato e realizzato ad hoc per quell’individuo, in quel contesto, partendo dal presupposto che il paziente è un individuo unico, e pertanto unico sarà l'approccio utilizzato per curare il paziente). Altre fonti teoriche importanti sono: la Teoria dei Sistemi (Von Bertalanffy, anni ’60) che inserisce l’adattamento (segno di sviluppo resiliente) all’interno dei processi relazionali, l’Ottica ecologica (Bronfenbrenner, anni ‘ 70) che inserisce l’individuo all’interno del contesto articolato in livelli concentrici e gerarchici. L’idea di base per la costruzione del MOR è stata: riprendere i fattori di rischio e i fattori protettivi (fattori che facilitano uno sviluppo in senso resiliente) indagati dagli studi accreditati e utilizzarli per costruire dei questionari utili per una rilevazione - pre e post intervento - dei “punti di forza” e “punti critici” degli utenti dei servizi. La rilevazione “in ingresso” viene effettuata insieme all’operatore che integra i punteggi ai test con le rilevazioni di tipo narrativo-qualitativo. Il piano di lavoro prevede perciò: un intervento “verticale”, cioè il programma individuale di sviluppo delle abilità resilienti, progettato specificamente per l’utente in base alle sue specifiche caratteristiche e modalità di funzionamento, un intervento “orizzontale”, cioè un’attività che riguarda l’individuo inserito all’interno del gruppo che afferisce al servizio, un intervento “trasversale” che mira a rendere resiliente il contesto occupandosi degli operatori e dell’organizzazione. Quindi, anche per gli operatori, è previsto lo stesso iter procedurale seguito dagli utenti (valutazione in ingresso attraverso test e intervista e programma individuale basato su aspetti esperienziali) ad eccezione della valutazione finale, poiché l’efficacia del programma viene rilevato indirettamente attraverso il miglioramento delle competenze resilienti dell’utente. Massimo Schinco (co-direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia http://www.cmtf.it/) ha affrontato il discorso sulla resilienza collegandolo col concetto di “cambiamento” non solo terapeutico ma anche sociale, organizzativo, gruppale, di comunità. Sono stati evidenziati dei collegamenti tra il costrutto della resilienza e teorie importanti come quella Sistemica, Costruttivista e Umanistica e autori come Bateson, Watzlawick, che hanno fornito stimoli importanti: l’aspetto soggettivo della percezione e della conoscenza, la responsabilità individuale e collettiva nella “costruzione sociale” della realtà (non esiste una realtà oggettiva ma una lettura attraverso “mappe” personali o anche di gruppo/società). Il mondo, quindi, non può essere ‘costruito’ prescindendo dal contesto. A seguito di queste riflessioni, nel corso del tempo, l’interesse si è andato via via spostando verso l’approccio narrativistico: le persone sono immerse in narrazioni o storie di sé di cui fanno parte. Per qualcuno (ad esempio persone problematiche) queste narrazioni diventano una sorta di “prigione” che impedisce di vedere altre e più funzionali modalità di azione. La narrativa (il racconto che la persona fa di sé all’operatore) deve necessariamente tenere conto dell’azione (la consapevolezza delle proprie modalità comportamentali) e promuovere l’intuizione (la capacità di dare risposte inaspettate che rompono con le narrazioni, l’insight che permette a un certo punto di effettuare il cambiamento vero e proprio). Il processo resiliente avviene proprio nel momento in cui le circostanze critiche ci spingono lontano dalle nostre usuali narrative (l’idea che abbiamo di noi non coincide più con il nostro pensiero e le nostre azioni) e dobbiamo trovare “creativamente” nuovi modi, idee, soluzioni, strategie per andare avanti. Ognuno di noi è potenzialmente resiliente, ciò che varia è la strada da percorrere. La resilienza, potenzialmente presente in tutti, ha per ciascuno vie diverse, cioè specifiche modalità di adattamento alla nuova situazione, secondo una personale combinazione di “azione + intuizione” che dà vita a un ridimensionamento o modifica della narrativa o immagine di sé. Ma l’uscita dalla propria narrazione e la costruzione della nuova, imparando a essere ‘flessibili’, avviene all’interno di una relazione. Ecco l’importanza del lavoro dell’operatore. Roberta Renati (Ph.D Università di Pavia e responsabile Nucleo Famiglia) ha affrontato il tema dell’ “avere cura” attraverso alcune parole chiave che riguardano l’operatore e la relazione che questi instaura con l’utente e la famiglia dell’utente: rispetto, responsabilità, umiltà/onestà, dono. Tra i rischi evidenziati nella relazione di cura: l’eccessivo distacco (derivante dal pregiudizio), l’eccessivo coinvolgimento, la fascinazione del “potere” connesso al ruolo. Affinchè l’operatore sia resiliente e promuova la resilienza dell’altro è necessario per lui/lei: mettere da parte i propri pregiudizi riguardo ai valori di cui l’utente (ad esempio famiglia multiproblematica, con scarsa coesione, difficoltà di relazione e con ruoli non ben definiti) è portatore, valori spesso dissonanti dai propri e quindi “sfidanti”, chiedersi ciò che è bene per l’utente a partire dalla prospettiva dell’altro e non dalla propria, far ridiventare l’utente “soggetto” e non oggetto valorizzando le risorse oltre che la patologia/disagio, in modo che questi possa intravedere il ventaglio di possibilità. L’operatore che ha cura deve essere ‘sufficientemente buono’: sa ascoltare, comprendere, connotare positivamente, dare al paziente una moral agency (cioè la capacità di tradurre in azioni il pensiero morale), deve saper giocare con le persone che incontra il play e non il game (il gioco dei bambini e non il gioco di competizione), deve aiutare le persone nella "danza" di avvicinamento e di allontanamento dal problema. Consuelo Casula (psicoterapeuta e ipnoterapeuta ericksoniana) ha deciso di raccontare e analizzare con sensibilità e attenzione le storie cliniche con esito positivo di alcune sue pazienti, allo scopo di mettere in luce alcune modalità/tecniche di lavoro che possono promuovere la resilienza, specificamente adatte a un setting privato ma che si possono provare ad adattare anche in un contesto pubblico. Ecco alcuni esempi. Ascolto intrapsichico: è importante che l’operatore dia ascolto alle proprie emozioni nel momento in cui ha di fronte una persona che chiede aiuto, perché queste influiscono sul modo in cui si svolgerà il lavoro e sull’esito. Ascolto interpersonale: è importante e strategico stimolare riflessioni e consapevolezza nell’utente e chiedere feedback per capire come sta svolgendosi il processo. Il modello di lavoro presentato prevede una serie di passaggi che, a partire da una situazione o evento critico, e all’interno di una relazione supportativa o terapeutica, possono essere d’aiuto per una ripresa resiliente e per dei cambiamenti anche minimi ma significativi. Alcuni esempi: trasformare il destino in scelta trasformare gli errori in apprendimenti trasformare gli ostacoli in sfida trasformare gli eventi in relazioni trasformare la disperazione in dubbio (e successivamente in speranza) trasformare la confusione in ricerca Infine, la riflessione si è spostata sulla possibilità di traslare in ambito di prevenzione e promozione i passaggi e le modalità summenzionate, puntando su abilità quali, per esempio, l’intelligenza emotiva, l’umorismo sin dal contesto scuola. Pietro M. Farneti (Presidente ASPRU Risvegli Onlus) ha esposto delle riflessioni inerenti: il valore del lavoro in équipe (accertarsi di avere una “direzione” e un “orientamento” comuni), la portata dirompente di un atteggiamento da parte del “curante” che valorizzi ciò che l’utente dice/pensa e cerchi veramente di comprendere, il dare fiducia all’altro (utente e/o collega), il fidarsi dell’intuito. Una frase di Oliver Sacks fa da cornice ideale alla chiusura degli interventi della mattina “Lo spirito dell’uomo è più forte di qualsiasi farmaco”.Workshop del pomeriggio Il P.L.R. (Programma di Lavoro Resiliente): uno strumento di lavoro per l’operatore resiliente, Lo psichiatra resiliente, Uno strumento del programma di cura: l’agenda o roadmap informatizzata, La resilienza nel lavoro con le famiglie. Gli operatori di Dors e SEPI hanno partecipato a due workshop: a) Il P.L.R. (Programma di Lavoro Resiliente): uno strumento di lavoro per l’operatore resiliente I conduttori del workshop (Salvatore Bonfiglio e Daniela Garbin) hanno presentato nel dettaglio il PLR, i suoi strumenti (le schede di rilevazione pre-post utilizzate con gli operatori, modalità di somministrazione e analisi dei dati), la procedura (test + colloquio). E’ stato evidenziato, su richiesta dei partecipanti al workshop, il lavoro che l’operatore fa su di sé, parallelamente al lavoro individuale dell’utente. L’operatore perciò compila lo stesso test, effettua un colloquio con il “coach d’impresa” (figura esperta) con cui concorda risultati e obiettivi, rivede il tutto insieme ai membri del proprio gruppo di lavoro e, durante tutto il percorso, ha la possibilità di usufruire di una supervisione costante. Il lavoro svolto poggia sull’individuazione dei fattori protettivi professionali da potenziare a partire dall’analisi delle criticità incontrate durante lo svolgimento del proprio lavoro. Il programma inerente lo sviluppo delle abilità resilienti dell’operatore rientra all’interno dell’intervento cosiddetto "trasversale" che riguarda la modifica del contesto in cui si lavora, nell’ottica “a cascata”: se il contesto/operatore funziona meglio aumenterà l’efficacia del lavoro con l’utente. Attualmente tale programma individualizzato è stato sperimentato con operatori di comunità residenziali per tossicodipendenti, si prevede di estenderlo ad altre figure professionali di altri tipi di servizi. Il PLR serve all’operatore per: identificare e contestualizzare eventuali difficoltà che incontra nel lavoro quotidiano (fonti di stress), individuare possibili strategie sulla base di risorse individuali (fattori protettivi presenti). il PLR è strutturato in 3 aree/funzioni dell’operatore in relazione all’utente: mentoring (affiancamento e accompagnamento dell’utenza nella fase di rilevazione/valutazione in ingresso), care management (presa in carico del percorso di cura dell’utente, strutturato ad hoc in base ai fattori protettivi individuati da potenziare e ai fattori di riduzione di stress da promuovere), assistenziale (gestione appuntamenti con l’utente, colloqui coi familiari, contatti con altri servizi, riunioni di èquipe, ecc.). b) Uno strumento del programma di cura: l’agenda o roadmap informatizzata Durante il workshop è stato presentato un modello organizzativo utilizzato nella programmazione e gestione del lavoro dei Servizi Territoriali per le Dipendenze basato sulla valorizzazione delle risorse multidisciplinari e sulla loro gestione integrata. L’esperienza è stata sviluppata da un’Agenzia del privato sociale (S.M.I. Relazione – Servizi Multidisciplinari Integrati) collegata a ‘Relazione Impresa Sociale’ e accreditata dalla Regione Lombardia ad operare nell’ambito dei Servizi Territoriali per le Dipendenze. Tale modello è supportato da una cartella unica informatizzata, utilizzata dai diversi operatori del servizio coinvolti nella gestione del percorso terapeutico della persona (micro équipe, formata secondo le necessità da medico, psicologo, operatore sociale, infermiere). Tale cartella, sia nella parte di valutazione multidimensionale sia nella parte di obiettivi e cambiamenti avvenuti, dà ampio spazio all’approccio orientato al rinforzo della resilienza dei soggetti (fattori protettivi). Un fattore innovativo riguarda la gestione dell’agenda/roadmap informatizzata e la programmazione delle attività dell’équipe integrata che viene effettuata da parte di una figura esterna all’équipe stessa (nel caso presentato da un’assistente sociale). Si tratta di una figura, formata al ruolo specifico, che non solo raccoglie le richieste dell’utenza ma svolge un’azione di filtro, orientamento e programmazione integrata dell’attività dei singoli operatori delle micro équipe. Una volta presa in carico la persona, la micro équipe, formata in base ai bisogni dell’utente ed alle diverse competenze degli operatori, individua il case manager che sarà responsabile del percorso terapeutico, e che continuerà a interfacciarsi, nella pianificazione del lavoro di équipe, con la figura di coordinamento. Si tratta di un modello che sembra favorire una forte flessibilità nella gestione dei casi e orientamento dell’intervento alla persona (tailoring), garantendo al tempo stesso l’integrazione multidisciplinare e la continuità assistenziale. Il gruppo ha sottolineato come un fattore importante di implementazione e sostenibilità di questa modalità di lavoro sia rappresentato dal pieno riconoscimento del ruolo di coordinamento della figura ‘esterna’ da parte dei singoli professionisti ed un buon affiatamento fra gli stessi, all’interno di un clima organizzativo basato sulla fiducia e stima reciproca. E’ stato sottolineato anche l’interesse del gruppo ai risultati di possibili attività di valutazione (in termini di efficacia e efficienza) dell’esperienza stessa: attività previste e, in alcun casi già messe in atto, ma che ad ora non hanno ancora prodotto materiali di divulgazione, data anche la recente attivazione dell’esperienza (l’Agenzia è nata nel 2008).ConclusioniIl convegno ha permesso di mettere in luce alcuni concetti supportanti e rinforzanti della resilienza, sia in termini teorici sia in pratica (lavoro in rete basato sul rispetto reciproco; relazione operatore – utente basata sulla fiducia e sull’ascolto; valorizzazione dell’esperienza dell’operatore; ricerca e potenziamento delle abilità degli utenti e dei loro familiari; consapevolezza di sé e auto-espressione; valore della speranza come criterio guida; interazione funzionale individuo – organizzazione – comunità; cambiamento dell’immagine di sé attraverso la narrativa autobiografica), attraverso l’integrazione di più voci (istituzione, privato sociale, servizio pubblico) e il racconto di esperienze reali e strumenti concreti.Bibliografia e sitografia Bonfiglio N.S., Farneti P.M., Renati R. “La resilienza tra rischio e opportunità. Un approccio alla cura orientato alla resilienza”, Alpes, 2012 Definizione di resilienza tratta dal Glossario della Promozione della Salute Mentale, Regione Lombardia, 2010 TAG ARTICOLOSALUTE MENTALE; SALUTOGENESI;