ThyssenKrupp - Perchè è avvenuto

CONTESTO GENERALE: LE CONDIZIONI DELLO STABILIMENTO

Al momento dell’incidente lo stabilimento di Torino era in fase di chiusura. Alcuni impianti erano in fase di smontaggio: rimanevano in funzione come impianti “grandi” la linea 4, la linea 5, il laminatoio Sendzimir 62, oltre a impianti più piccoli.
La decisione di chiudere lo stabilimento di Torino per trasferire gli impianti a Terni risaliva al marzo 2005, ma la data era stata posticipata prima all'estate 2006, a causa dei giochi olimpici invernali, e poi all'estate 2007 in seguito all'incendio di un altro stabilimento che aveva reso conveniente lo spostamento di parte della produzione nello stabilimento di Torino.
La chiusura dello stabilimento era stata annunciata pubblicamente il 7 giugno 2007 e l’accordo del 23 luglio tra azienda e sindacati aveva stabilito il graduale arresto della produzione entro fine settembre 2008 e l'offerta di posti di lavoro alternativi all'interno dell’azienda per tutti i lavoratori senza alcun licenziamento.
Lo stabilimento versava in una situazione di abbandono e insicurezza determinati: dal venir meno delle professionalità più qualificate (capi turno manutenzione cui era demandata secondo le procedure aziendali la gestione dell’emergenza incendi e gli operai più esperti e specializzati), dalle condizioni di inadeguata manutenzione e pulizia delle linee (con perdite di olio dai tubi e accumuli di carta in prossimità e sotto i macchinari), da ripetuti incendi o principi di incendio.
Più precisamente è emerso che:

  • nell’ultimo periodo il personale veniva spostato da un impianto all’altro senza una adeguata preventiva formazione;
  • gli interventi di manutenzione non erano adeguati, come testimoniano i rilievi del personale ispettivo effettuati dopo l’incendio;
  • gli interventi di pulizia e di rimozione dei residui di lavorazione, come la carta oleata proveniente dai rotoli in lavorazione (che in talune circostanze non veniva completamente recuperata ma si dispendeva lungo la linea), non erano sufficienti a garantire le necessarie condizioni di sicurezza;
  • lo stabilimento pur rientrando tra le aziende a rischio incidente rilevante era privo di Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) e classificato con livello di rischio “elevato”, mentre l’area in cui è avvenuto l’incendio era classificata a rischio “medio”;
  • nello stabilimento i principi di incendio erano frequenti e, secondo alcuni testimoni, erano aumentati progressivamente nell’ultimo periodo;
  • sulla linea 5 vi erano diverse fonti di innesco: le scintille della saldatrice, i quadri elettrici, il possibile grippaggio dei cuscinetti, il possibile sfregamento del nastro di acciaio contro la carpenteria della linea; proprio un grippaggio ed uno sfregamento avevano innescato due dei tre incendi avvenuti sulla linea 5 nel 2006;
  • gli addetti erano chiamati ad intervenire sui focolai di incendio; spesso domavano il principio di incendio ma, in caso di insuccesso, chiamavano la “squadra di emergenza” interna;
  • una parte dei lavoratori era priva di specifica formazione in materia di prevenzione incendi;
  • il carico di incendio lungo la linea 5 era aumentato da residui di olio di laminazione proveniente dai rotoli in lavorazione quando il periodo di attesa del nastro laminato era insufficiente, il che aggravava anche il fenomeno della adesione della carta interspira al nastro;
  • le perdite di olio idraulico dalle tubazioni rigide così come dai flessibili, conseguenza di un’inadeguata manutenzione, contribuivano ad aumentare il carico di incendio lungo gli impianti


CONTESTO SPECIFICO

La causa dell’innesco dell’incendio è stata lo sfregamento del nastro sulla carpenteria in prossimità del secondo pinzatore dell’aspo 1 posto sopra la spianatrice dell’aspo 2. Il focolaio di incendio si è manifestato a causa di almeno uno dei seguenti possibili scenari:

  1. formazione di scintille provocate dallo sfregamento del nastro contro la carpenteria che, cadendo, hanno incendiato la carta oleata ed i residui di olio sottostanti;
  2. accensione della carta a causa del calore sviluppato nel punto di sfregamento del nastro contro la carpenteria.

In ogni caso l’incendio si è sviluppato in conseguenza di una serie di carenze tecnico-organizzative di cui si riporta una sintesi nel seguito:

  • mancanza di un sistema di centratura automatica del rotolo nella zona di imbocco che avrebbe permesso di mantenere la corretta centratura del nastro;
  • mancanza di sistemi di rilevamento della posizione del nastro e/o sistemi antisbandamento lungo la linea; tali presidi avrebbero corretto la posizione del nastro o inviato un segnale di allarme di massimo sbandamento bloccando la linea;
  • mancata o inadeguata verifica dello stato di usura dei componenti del sistema oleodinamico al fine di evitare le perdite dal circuito chiuso, comprese le parti flessibili che, più di quelle rigide, sono soggette a usura;
  • incompleta rimozione della carta infraspira dispersa lungo la linea;
  • mancanza di un impianto di rilevazione incendi che avrebbe garantito il tempestivo rilevamento di qualsiasi principio di incendio;
  • mancanza di un sistema di spegnimento automatico collegato al sistema di rilevazione;
  • assenza di un sistema di arresto di emergenza ad attivazione automatica finalizzato all’arresto della linea e alla depressurizzazione dell’impianto oleodinamico;
  • inadeguata scelta del mezzo estinguente; i soli estintori a CO2 presenti nel reparto non erano idonei per l’estinzione di incendi di classe A (combustione di solidi) e non sono stati in grado di domare l’incendio sviluppatosi con la carta intrisa d’olio;
  • inadeguata valutazione del rischio incendio; in particolare, non era stato valutato il pericolo intrinseco costituito dalla presenza, lungo la linea, di olio di laminazione e/o di olio idraulico oltre che di carta oleata. Nella valutazione non è stato inoltre adeguatamente considerato l’olio idraulico in pressione presente nei circuiti (in parte costituiti da elementi flessibili). Inoltre non è stata presa in considerazione la presenza degli addetti che, proprio per la mancanza di un impianto di spegnimento automatico, dovevano presiedere alle operazioni di spegnimento come indicato nel piano di emergenza. In proposito è importante ricordare la mancanza di specifica formazione antincendio degli addetti (la sera dell’evento neanche il responsabile della squadra antincendio era stato formato);
  • mancato aggiornamento della valutazione del rischio che, prescindendo dalla correttezza dell’iniziale, doveva essere rivista a seguito dei cambiamenti intervenuti in conseguenza della decisione di chiudere lo stabilimento di Torino. Il processo di chiusura graduale mantenendo in servizio alcuni impianti, avrebbe infatti dovuto essere gestito tenendo in considerazione che molte professionalità e figure specialistiche sarebbero progressivamente venute a mancare;
  • inidoneità del piano di evacuazione ed emergenza sia per la sua farraginosità, sia per l’assenza di istruzioni relative al fermo in emergenza. Il piano conteneva, inoltre, alcune importanti lacune. Infatti, era previsto l’intervento diretto dei lavoratori addetti alla linea per lo spegnimento degli incendi di non “palese gravità” se “la persona è istruita al servizio antincendio” che “deve attivarsi direttamente utilizzando l'attrezzatura antincendio posta in prossimità del luogo dell'evento”. Il termine “palese gravità” non indicava in modo univoco e chiaro le condizioni dell’incendio o del principio di incendio che gli operatori dovevano affrontare intervenendo direttamente, tanto che ogni lavoratore forniva una sua propria interpretazione. Inoltre, il termine “istruita” non era sinonimo di “formata” e, con questo, è stato di fatto autorizzato (anzi previsto) l’intervento anche dei lavoratori non formati all’antincendio. Da notare poi che ai lavoratori era chiesto di intervenire “utilizzando l'attrezzatura antincendio posta in prossimità…” per cui essi venivano chiamati ad utilizzare gli estintori portatili che comportavano la necessità di avvicinarsi pericolosamente (circa un metro) alla fonte dell’incendio; in caso contrario, ovviamente, l’intervento era inefficace.

La procedura di attivazione della squadra di emergenza interna e, poi, dei Vigili del Fuoco, prevedeva di:

  • Chiamare il sistema di vigilanza interna se i lavoratori non fossero riusciti a spegnere l’incendio (o se questo era di “palese gravità”);
  • la vigilanza interna a sua volta doveva avvertire via radio il capo turno manutenzione;
  • il capoturno manutenzione doveva chiamare la “squadra di emergenza”, situata in una palazzina staccata dal capannone principale e composta di 2-3 addetti del reparto ecologico di trattamento acque;
  • il capo turno manutenzione doveva chiamare la squadra di manutenzione, per mettere in sicurezza l’impianto togliendo la corrente dalla cabina elettrica (la cui chiave non era infatti a disposizione degli addetti alle linee);
  • infine, solo gli addetti della squadra di emergenza potevano, previo assenso del capoturno, chiamare i Vigili del Fuoco esterni (cosa che non doveva essere fatta autonomamente dai lavoratori).

È evidente che una proceduta di tale complessità non impediva solo il tempestivo intervento delle figure idonee a fronteggiare l’incendio (con la naturale conseguenza che l’incendio poteva rapidamente progredire), ma si prestava facilmente ad errori.