La pubblicità degli alcolici influenza il consumo? Un interessante report della BMA ci offre alcuni spunti di riflessione
a cura di Eleonora Tosco

L’autore principale del report, Gerard Hastings, uno dei massimi esperti di Marketing Sociale in Inghilterra, è colpito dalle evidenze della letteratura sul rapporto di “causa-effetto” tra le cifre considerevoli spese dall’industria dell’alcol per pubblicizzare e promuovere i propri prodotti, e il consumo alcolico degli inglesi.

In che modo i giovani sono esposti alla pubblicità? Una ricerca dell’Ente nazionale inglese Alcohol Concern, evidenzia un picco della pubblicità di birra e liquori nel tardo pomeriggio e nella prima serata, mentre per il vino la pubblicità è spostata in tarda serata. Nei cinema la pubblicità dell’alcol compare in accompagnamento a film che possono vedere i ragazzi dai 12 anni in su.
Ma, soprattutto, l’alcol è rappresentato in un modo positivo, rinforzato da un attento design dei prodotti, dal prezzo accessibile, dal loro posizionamento e distribuzione al fine di distorcere le comuni norme sociali.
Inoltre, l’utilizzo dei nuovi canali di marketing che non sono ancora stati sufficientemente valutati, ma che presumibilmente sono quelli più utilizzati e quindi che hanno più influenza sugli adolescenti quali internet, gli sms, gli sponsor degli eventi sportivi, i social networks (facebook,  twitter, ecc…), fa sì che l’alcol diventi un prodotto di consumo dotato di forte attrattiva, al pari dei capi di abbigliamento alla moda o dei videogiochi.

Il report sottolinea come le marche dei prodotti alcolici siano molto conosciute dai più giovani. Più del 90% dei tredicenni inglesi è in grado di identificare la marca di un prodotto alcolico anche se gli viene oscurato il nome, e quasi la metà di essi possiede un prodotto (ad esempio una t.-shirt) che pubblicizza il marchio della bevanda alcolica. Sono anche consapevoli di quali prodotti hanno un’immagine “cool” e quali no.

Nel corso degli anni c’è stata l’applicazione di alcune leggi sul controllo e i contenuti delle pubblicità di alcolici, ma il report evidenzia diversi punti di debolezza.
Con la sola eccezione delle pubblicità televisive, ad esempio, i controlli sono applicati solo dopo che la pubblicità è fruita e viene inviato un reclamo.
I codici attuali della pubblicità poi, tentano di controllare solo alcuni aspetti dei contenuti come ad esempio riferimenti al sesso, tralasciando tutta una serie di aspetti complessi legati alle immagini e alle associazioni mentali che esse suscitano, oppure le diverse forme di sponsorizzazione di eventi sportivi che inevitabilmente collegano i prodotti alcolici a prestazioni sportive di successo.

Le pubblicità di alcolici che suggeriscono di “bere responsabilmente” sembra poi che siano altamente inefficaci nei confronti dei giovani in quanto spesso producono addirittura l’effetto contrario.

Il report stila un elenco di nove raccomandazioni base, alcune non riferite in modo diretto alla pubblicità degli alcolici come ad esempio lo stabilire un prezzo minimo di vendita dei prodotti, limitare l’apertura di outlets di alcolici, ridurre la concessione delle licenze per la vendita.
La prima e la più importante raccomandazione però, è quella di proibire del tutto la pubblicità e la promozione attraverso qualsiasi canale mediatico, dei prodotti alcolici.

Il report si conclude con il suggerimento di lasciare spazio, nel dibattito degli esperti di promozione della salute circa il consumo di alcol, ad una riflessione profonda sulla cultura pro
-alcol che si è formata negli anni e sulle conseguenze, in termini di costi economici e sociali, che ne derivano.
Il problema da considerare non è quindi solo l’abuso di alcol, ma tutto un contesto dove il bere viene eletto a comune e positiva abitudine sociale.

British Medical Association, Under the influence - the damaging effect of alcohol marketing on young people, London: BMA, 2009.

 


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