Medicina e violenza. Il mosaico della violenza di genere.a cura di Selene Bianco, Carlo Mamo, Servizio di Epidemiologia; Marina Penasso, DoRSPubblicato il 15 Dicembre 2015Aggiornato il 21 Dicembre 2015RecensioniDall’ultima indagine ISTAT rivolta al tema, sappiamo che in Italia circa il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Da un punto di visto sanitario è difficile quantificare i casi di violenza, soprattutto di ambito domestico e relazionale, dato che spesso le vittime (principalmente donne) preferiscono non riferire l’episodio agli operatori sanitari. Tuttavia, nei casi di trauma grave, si può procedere d’ufficio, anche in assenza di denuncia da parte della vittima. Anche dall’analisi degli accessi in Pronto Soccorso in Piemonte, svolta presso il Servizio Sovrazonale di Epidemiologia di Grugliasco, si deduce un importante underreporting, sebbene di entità non valutabile. Il progetto CCM “Controllo e risposta alla violenza su persone vulnerabili: la donna e il bambino, modelli d'intervento nelle reti ospedaliere e nei servizi socio-sanitari in una prospettiva europea”, che coinvolge anche la nostra regione, ha come obiettivo quello di validare procedure efficaci di riconoscimento e accompagnamento delle vittime che accedono in setting sanitari. Ma abusi e maltrattamenti non sono solo di natura fisica. Nel caso di violenza domestica, generalmente chi la perpetra vede la compagna come un oggetto di possesso ed agisce sui suoi punti deboli, isolandola socialmente, svalutandola, lasciandola con un forte senso di impotenza e di impossibilità di scegliere cosa sia meglio per sé. È necessario restituire la dignità alla donna, non trattarla come se l'esperienza fosse una fantasia Di solito le vittime che si ribellano sono quelle che hanno subìto così tanta violenza da non sopportare più il dolore, oppure quelle incinte o con figli piccoli. Vedere che ci sono altre donne nella stessa situazione e che si può ricevere aiuto è uno stimolo a parlare. Il fenomeno della violenza è trasversale, colpisce persone di ogni fascia di età e livello socio-economico, in particolar modo donne, ma non solo. Il genere maschile è più predisposto all’aggressività interpersonale, per fattori fisiologici, culturali e sociali. L’espressione di tale aggressività può essere competitiva, quando esercitata fuori casa, oppure un tentativo di controllo quando è esercitata sul partner. Ci sono tuttavia altre categorie di persone vulnerabili che facilmente possono diventare vittime. Non sono rari i casi di violenza sugli anziani, che possono essere perpetrati sia dai caregiver, sia da figli che costringono i genitori ad essere reclusi in casa per potersi impossessare della pensione. Le popolazioni migranti sembrano essere particolarmente vulnerabili, sia per fattori culturali sia per problemi economici. In molte culture una donna violentata è considerata come un oggetto ed impura e viene pertanto isolata, rendendola ancora più vulnerabile. Anche la disabilità è elemento di vulnerabilità. Circa il 36% delle donne con qualche disabilità subisce violenza e ha un rischio doppio di subir violenza sessuale (anche durante l'infanzia) rispetto alle donne sane. Per uscire dalla violenza è necessario render consapevole la vittima della violenza subita, così da aiutarla a chiedere aiuto. L'uso di sostanze psicotrope influenza il rischio di subire/fare violenza. Negli ultimi anni, il nuovo target del mercato delle sostanze ricreative è proprio il genere femminile, prima più refrattario. Il consumo di alcune sostanze agevola la perpetrazione di violenza sessuale: si pensi per esempio al GHB, detto anche droga dello stupro, che si degrada velocemente nelle urine. Nel mondo, ogni ora, una donna in gravidanza viene abusata. La violenza domestica è la seconda causa più frequente di morte in gravidanza (dopo le emorragie). Oltre al partner, ne sono vittime anche i figli: anche quando non subiscono maltrattamenti fisici, sono comunque vittime di violenza assistita, che lascia segni indelebili e che spesso li porta a perpetrare violenza da adulti. I medici di famiglia possono notare degli elementi di violenza in ambito familiare. Alcuni dei segnali che si possono presentare sono l’ansia, gli attacchi di panico, l’insonnia, i sensi di colpa e di vergogna, l’inattività, il dolore pelvico cronico. Questi di per sé non sono indicatori certi di violenza, ma possono accendere un campanello di allarme nel medico. Procedure di screening per l'identificazione delle vittime di abusi in setting sanitari (in particolare nei pronto soccorso) possono condurre a un significativo aumento dei casi rilevati. Una delle ripercussioni della violenza a cui meno si dà attenzione è la traumatizzazione secondaria di chi accoglie le vittime. In quanto testimoni della violenza, gli operatori (specie se donne) possono sentirsi emotivamente schiacciati, sperimentando le stesse emozioni di impotenza e sopraffazione, lo stesso terrore, lo stesso sconforto delle vittime, fino a sviluppare sintomi post traumatici da stress. Gli operatori devono imparare a riconoscere i segnali di allarme e formarsi su quali siano gli effetti del trauma. Un altro fenomeno trasversale è quello dello stalking, in cui la vittima è l’oggetto del desiderio dell’aggressore. Tanto meno è presente un controllo sociale tanto più facile è perpetrare violenza. Fino a pochi anni fa il fenomeno era sottovalutato e sminuito anche da molti esponenti delle forze dell'ordine, anche perché non era ancora considerato reato. Dopo l’emanazione dell’art 612 bis e la legge 38 del 2009 le vittime sono più tutelate dalla legge e in molti commissariati e caserme piemontesi sono state istituite delle stanze apposite per raccogliere le testimonianze delle vittime di stalking e violenza in generale (2). Va sottolineato come circa il 40% delle vittime di femminicidio sia stata precedentemente vittima di stalking. Le forze dell’ordine hanno bisogno di formazione e di terzietà per poter accogliere e sostenere le vittime di maltrattamento in famiglia. Sono inoltre obbligate a fornire le informazioni sui centri antiviolenza e, nel caso la donna vi si voglia rivolgere, hanno l'obbligo di metterla in contatto. I centri antiviolenza offrono accoglienza di persona o tramite il numero 1522, grazie a colloqui di conoscenza e valutazione della situazione di rischio. Sono inoltre in rete con i servizi sociali e forniscono supporto psicologico, terapia psico-sessuale, consulenza e tutela legale, accompagnamento dalle forze dell'ordine e costruzione di un percorso individualizzato e condiviso In particolare, al centro antiviolenza del Comune di Torino (3) ci si può recare di persona (in via Bruino 4, 4gg a settimana) senza prenotazione, oppure telefonicamente chiamando il 011/01131562 (numero del centro) o il 1522 (numero nazionale) e venendo reindirizzati. L’accoglienza non è prevista solo per le vittime, ma anche per gli uomini che agiscono violenza. L’associazione “Cerchio degli Uomini” (4) fornisce uno sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile e gruppi di riflessione sul maschile. Volutamente si sceglie di non parlare direttamente di violenza per poter scavare in profondità gradualmente. Il 50% delle chiamate per il disagio termina parlando di violenza. Spesso gli uomini vivono la donna come problematica e l’associazione cerca di aiutarli a vivere la relazione in maniera non violenta ed a gestire in altro modo le problematicità delle donne. La violenza contro le donne e le persone vulnerabili non va considerata una responsabilità individuale, ma un problema sociale. 1) https://www.youtube.com/watch?v=KoMJQxlUdoQ 2) http://www.provincia.torino.gov.it/speciali/2014/stanza/ 3) http://centroantiviolenza.comune.torino.it/ 4) http://www.cerchiodegliuomini.org/ TAG ARTICOLOGENERE; VIOLENZA;