Aids: parliamone ancoraContrastare la disinformazione (anche) attraverso il racconto a cura di E. Tosco, DorsPubblicato il 17 Dicembre 2019Aggiornato il 16 Gennaio 2020RecensioniHIV e Aids: ne sappiamo abbastanza?“Ai tempi del silenzio”: informare raccontandoHIV e AIDS: sintesi dei dati nazionali 2018La campagna ministeriale 2019 #HIVriguardatuttiHIV e Aids: ne sappiamo abbastanza?"In Italia l'HIV si trasmette con l'ignoranza". Così titolava provocatoriamente nel 2018 la testata web The Vision in un articolo sulle modalità di rappresentare e comunicare il tema dell'HIV e dell'AIDS da parte dei media e dell'agenda pubblica e sulla conseguente disinformazione e percezione distorta del problema da parte del pubblico. "Manca, di norma, l’assunzione di una responsabilità informativa ed educativa, capace di riportare alla normalità le questioni della prevenzione, quale ad esempio la sessualità responsabile, rischiando di alimentare così la sovrapposizione di un’immagine della malattia, e delle persone malate, con altre immagini allarmanti, impersonali o lugubri, distanti dal quotidiano vissuto delle persone" scrive l'educatrice Paola Vannutelli nel suo interessante lavoro "L'immagine che non c'è" dedicato alla rappresentazione mediatica del tema dell'HIV e dell'Aids. La disinformazione accompagnata dai cosiddetti falsi miti è confermata da diverse indagini che negli ultimi anni hanno misurato il livello di conoscenza del problema, in particolare da parte dei più giovani. Tra queste è significativa la ricerca condotta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia nel 2016 in cui emergono dati abbastanza sconfortanti: il 37,5% dei ragazzi intervistati (tra i 14 e i 18 anni) crede che le zanzare possano trasmettere l’Hiv e il 36,5% ritiene la pillola un metodo efficace per scongiurare il pericolo del contagio. ll 20% dei ragazzi crede che il test dell’HIV serva a sapere quando si è geneticamente predisposti all’Aids. In materia di rischi derivanti dalla convivenza con chi è sieropositivo, la mancanza di informazione è pressoché totale: il 95% dei ragazzi ha risposto in modo inesatto o dichiarato di non sapere nulla. Una delle false credenze più dure da abbattere tra i giovani Millennials e quelli della Generazione Z (i nati tra la fine degli anni ’90 e i 2000) è rappresentata dall'idea che il virus dell’HIV possa contagiare solo determinate categorie di persone: quasi 1 giovane su 3, infatti, associa il rischio di contrarre la malattia a determinati comportamenti quali l'avere rapporti con molti partner, essere tossicodipendenti, essere omosessuali. Nonostante i quasi quarant'anni trascorsi dalla scoperta dell'HIV, sembra quindi che l'obiettivo informativo e la diffusione di una cultura della prevenzione dei comportamenti a rischio non siano ancora da ritenersi raggiunti. Per queste ragioni è essenziale continuare ad investire nella prevenzione primaria attraverso progetti, interventi e azioni di comunicazione continuative ed efficaci, indirizzate sia alla popolazione generale che a gruppi specifici di destinatari.“Ai tempi del silenzio”: informare raccontando"Ai tempi del silenzio" è un progetto di comunicazione che consiste in un sito su cui è possibile ascoltare e scaricare un podcast in tre puntate, realizzato dalle Associazioni Nadir, Nps e Plus, con il supporto non condizionato di Msd Italia e la supervisione scientifica della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit). L'obiettivo del progetto è quello di uscire dalla nebbia della disinformazione sui temi dell'HIV e dell'Aids "seguendo le voci di chi ci è passato prima di noi e conosce la strada", ritenendo la modalità del racconto un'arma potente per informare su come evitare il contagio, curarsi in modo tempestivo e adeguato e combattere stigma e pregiudizi. «Chi, come me, ha vissuto da medico, ma anche da volontario attivo nelle associazioni, tutta la storia dell’AIDS, sa bene che molti fatti e concetti riguardanti HIV non sono affatto scontati nella testa delle persone -spiega Massimo Galli, professore di Malattie Infettive all’Università di Milano e Past President della SIMIT- Quando un tema perde attenzione, tende ad essere relegato nell’ambito dei rumori di fondo, delle cose che interessano sempre meno e si conoscono sempre peggio. Non stupisce che un argomento reso crepuscolare come HIV/AIDS sia sparito dall’orizzonte di molti. Le persone più giovani che appartengono alle cosiddette popolazioni chiave, quelle dove la possibilità di infettarsi è più elevata, non hanno visto direttamente la morte e la sofferenza che la malattia è in grado di causare. Prevenzione, informazione, rimozione dello stigma. Credo ce ne sia d’avanzo per sottolineare l’importanza di un podcast come ‘Hiv ai tempi del silenzio'». Ecco quindi una serie di testimonianze guidate dalla voce di Pino Insegno, che accompagna il percorso narrativo che si dipana in un arco temporale di trent'anni: dalla scoperta del virus dell'HIV agli anni 2000. Non si tratta di lezioni, né di un documentario ma di una vera e propria narrazione chiara, informale, emotiva, da parte di chi ha vissuto, con ruoli differenti ma in prima persona, il problema. La prima puntata - "Amarsi non è mai discordante" è dedicata agli anni '80 quando l’HIV fa la sua comparsa e con lui la paura del contagio, la diagnosi della malattia che è equivalente a una condanna a morte e lo stigma nei confronti dei sieropositivi. Sono gli anni della campagna di comunicazione "Se lo conosci lo eviti. Se lo conosci non ti uccide" in cui lo spettro del contagio era rappresentato da una linea di contorno viola. I messaggi fanno leva sulla paura e il senso di colpa. Il tema della puntata è l'amore, la vita di coppia, le relazioni in un contesto di timori e pregiudizi. Nella seconda puntata - "L'HIV ha i capelli bianchi" sono protagonisti gli anni '90 considerati gli anni della svolta, dell'individuazione delle terapie efficaci ma anche della falsa percezione che il virus sia stato sconfitto. La diagnosi non è più una condanna a morte e i sieropositivi hanno un'aspettativa di vita media paragonabile a quella di chi non è mai venuto in contatto con il virus. Invecchiare con il virus non è più una speranza ma una realtà. In questi anni le campagne di comunicazione abbandonano i toni drammatici che hanno caratterizzato gli anni '80 a favore di messaggi positivi e rassicuranti, che fanno leva sul senso di comunità e sulla responsabilità collettiva. Il fiocco rosso diventa il simbolo della lotta all'HIV. Nella terza e ultima puntata - "E adesso rompiamo il silenzio" ci si affaccia agli anni 2000 in cui non si muore più di Aids ma intorno al tema cresce il silenzio. I media ne parlano poco o niente. La malattia sembra non fare più così paura ma i pregiudizi permangono. Sono gli anni in cui nelle campagne di comunicazione fanno la comparsa i testimonial noti come messaggeri della prevenzione e in cui si sperimentano stili e linguaggi più vicini al mondo giovanile come l'ironia e il simbolismo. HIV e AIDS: sintesi dei dati nazionali 2018Nel 2018 sono state effettuate 2847 nuove diagnosi di infezione da HIV, soprattutto di maschi (85,6%); la maggioranza delle nuove diagnosi è attribuibile a rapporti sessuali non protetti (80,2%) e in più della metà dei casi l’infezione è stata diagnosticata in fase avanzata di malattia. Nel 2018 sono stati diagnosticati anche 661 nuovi casi di AIDS, un dato in lieve ma costante diminuzione. Nel tempo è tuttavia aumentata la proporzione delle persone con nuova diagnosi di AIDS che ignorava la propria sieropositività e ha scoperto di essere HIV positiva nel semestre precedente la diagnosi, passando dal 48,2% nel 2000 al 74,6% nel 2018. La campagna ministeriale 2019 #HIVriguardatuttiLa campagna del Ministero della salute 2019 mira a responsabilizzare il singolo nei confronti della propria salute e verso quella degli altri; sensibilizzare verso la lotta allo stigma; promuovere il ricorso al test dell’Hiv e si rivolge alla popolazione generale, con un'attenzione particolare ai giovani. Per ciò che concerne il messaggio, sono stati scelti i temi della prevenzione e dello stigma. La maggior parte della popolazione ancora percepisce l'Hiv come un problema altrui, invece l'Hiv e le innfezioni sessualmente trasmesse riguardano potenzialmente tutti se non si adottano comportamenti responsabili di prevenzione. La scelta di utilizzare un tono ironico nel trattare un argomento serio come quello dell’Hiv è stata testata e circa l’80% del campione ha affermato che il linguaggio ironico consente di affrontare in maniera originale ed efficace l’argomento senza sminuirne l’importanza. I contenuti e la call to action proposti richiamano in modo diretto e inequivocabile l’importanza dell’utilizzo del preservativo come misura preventiva più efficace. Guarda lo spot della campagna 2019TAG ARTICOLOAIDS; CAMPAGNE DI COMUNICAZIONE; HIV;