Quanti italiani rinunciano davvero alle cure?
a cura di Giuseppe Costa, Cesare Cisalghi, Aldo Rosano

Si segnala la nota pubblicata sul sito di scienzainrete.it relativa all’accesso alle prestazioni sanitarie che smentisce i dati pubblicati dal Censis. 

Il documento è a cura di Giuseppe Costa, Cesare Cislaghi, Aldo Rosano.

Dall’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie (EU-SILC)2015 fatta su un campione di 73.204 italiani risulta che il 67% dichiara di avere una salute buona o ottima. Il 22% una salute mediocre e l’11% una salute cattiva o pessima. Si può parafrasare dicendo che coloro che si considerano malati sono in Italia circa sette milioni di abitanti e con minori problemi di salute altri 15 milioni. Si ricorda anche che in un anno i ricoveri ospedalieri sono circa 10 milioni pari quindi a quasi la metà di coloro che non si ritengono in buona salute.

Come fanno quindi ad esserci, come viene scritto e detto dal Censis, 12 milioni di italiani che rinunciano del tutto alle cure? Sarebbero la metà di coloro che hanno bisogno di cure! Ma sempre con la stessa indagine europea si viene invece a sapere che in verità sono solo poco più degli 7% degli italiani che hanno rinunciato ad una prestazione per vari motivi tra cui il principale sicuramente è il motivo economico dichiarato da circa 4 milioni. E questi hanno dichiarato non di aver rinunciato “alle cure” ma solo a “singole prestazioni” avendone invece usufruite in diversi casi di molte altre! Sarebbe importante che il Censis rendesse pubblici i dati delle proprie indagini chiarendo sia l’ampiezza del campione sia le domande del questionario utilizzato.

Il fenomeno della rinuncia a delle singole prestazioni riguarda molto di più il meridione e coloro che vivono in situazioni di deprivazione, in particolare chi è disoccupato o precario, e al riguardo sicuramente si dovrà fare di più per aiutare ad evitare queste situazioni  ma certo non si potrà fare con una  assicurazione privata integrativa che nei fatti diverrebbe sostanzialmente sostitutiva.

Si osserva ancora che la spesa privata è in crescita ma non si fa una analisi approfondita dei suoi contenuti: solo una quota minoritaria di essa è infatti associata a compensare dei problemi di accesso creati dal SSN, mentre una quota molto più importante ha invece come ragione una scelta personale di preferenza ed infine la maggior parte della spesa privata riguarda prestazioni di dubbia utilità.

Questa continua diffusione di notizie che per gentilezza definiremo “imprecise” sembra fatta per screditare il SSN e per aprire nuovi spazi alle assicurazioni private, i cui imprenditori sono spesso proprio tra gli sponsor di indagini, convegni, scritti che veicolano questi scenari. Non c’è dubbio che, specie in alcune regioni del Sud, il servizio sanitario è in difficoltà, ma paventando la sussistenza di una malattia terminale del SSN e se ne propone una inutile e costosa protesi (una copertura assicurativa privata estesa) di cui non c’è alcuna reale evidenza di necessità e di efficacia. Tra le righe del DEF (Documento di Economia e Finanza del Governo) c’è scritto nel 2020 la spesa sanitaria pubblica dovrà ridursi al 6,4%, ma questo comporterebbe l’eutanasia precoce del SSN come oggi lo conosciamo. Si lavori per evitare gli sprechi, le inappropriatezze, le illegalità! Si lavori per creare maggior efficienza, efficacia ed equità! Ma si difenda un sistema sanitario che è ancora nonostante tutto tra i migliori al mondo! Si pensi sì a migliorare l’economia ma non a danno della salute!

 


 

 


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