Comunicare il rischio: condividere informazioni per favorire scelte consapevoli
a cura di E.Ferro - Dors

Nelle situazioni di emergenza come quella che il mondo sta affrontando attualmente, a seguito della diffusione del nuovo coronavirus, emerge l’importanza della comunicazione del rischio come strumento per orientarsi nell’incertezza e gestire la grande quantità di informazioni, provenienti da una molteplicità di fonti, che si diffondono rapidamente nella società.

Giancarlo Sturloni, docente della Scuola Internazionale di Studi Avanzati (SISSA) e dell’Università di Trieste, definisce la comunicazione del rischio come “l'insieme degli scambi informativi tra i diversi portatori di interesse (stakeholder) che prendono parte alla discussione pubblica sui rischi per la salute e per l'ambiente”.
Nel primo manuale sulla comunicazione del rischio in Italia (La comunicazione del rischio per la salute e l’ambiente, G. Sturloni ed. Mondadori Education, 2018), Sturloni illustra i fondamenti teorici e i principi operativi di una disciplina ormai consolidata a livello internazionale, ma ancora poco conosciuta e praticata nel nostro paese.
Originariamente sviluppata per trasmettere al pubblico le valutazioni quantitative effettuate dagli esperti, la comunicazione del rischio è oggi considerata una disciplina autonoma, fondata su un ampio ventaglio di conoscenze interdisciplinari e uno strumento fondamentale per la gestione dei rischi.

Ambiti operativi

I principali ambiti di applicazione della comunicazione del rischio sono tre:

  1. La care communication che ha l’obiettivo motivare le persone esposte a un rischio riconosciuto a modificare i propri comportamenti dannosi, offrendo loro una soluzione possibile. Il principale campo di applicazione è quello della prevenzione dei rischi (es. campagne di promozione della salute, campagne di prevenzione dei disastri naturali,…). Si occupa di rischi noti che possono essere evitati o mitigati adottando comportamenti opportuni.
    Occorre tenere presente che le persone oppongono sempre una forte resistenza al cambiamento di opinioni e di comportamenti. Quando un individuo ha un’idea fortemente radicata tende a cercare ulteriori conferme accettando le informazioni che gli danno ragione e rifiutando o rielaborando quelle contrarie. Formarsi un’opinione di fatto costa fatica, perciò le persone preferiscono cercare di adattare le nuove informazioni alle proprie idee pregresse prima di rassegnarsi a cambiarle.
    In questo ambito, supportati dalla strategia del marketing sociale, si possono perseguire diversi tipi di cambiamento: cognitivo, di azione, comportamentale e valoriale elaborando strategie che tengano conto del rapporto costi-benefici derivanti dall’abbandono di comportamenti dannosi a favore di comportamenti più salutari (Marketing sociale e promozione della salute).
  1. La crisis communication che ha l’obiettivo di rendere le persone consapevoli di un rischio imminente a cui sono esposte per favorire comportamenti responsabili di auto protezione e salvaguardare la loro sicurezza. L’ambito è quello della crisi - situazione caratterizzata da un livello crescente di allarme, che può durare diversi giorni, settimane o mesi (es. epidemie, arrivo di un ciclone,…) e dell’emergenza - fenomeno improvviso e con impatto immediato (es. incidente industriale, terremoto,…). Essa prevede un ruolo attivo della popolazione a cui è richiesto di reagire a una minaccia adottando comportamenti per la salvaguardia e la sicurezza degli individui, mentre le istituzioni preposte alla gestione del rischio conservano un ruolo di guida, fornendo informazioni e indicazioni comportamentali.
    Nel caso dell’attuale epidemia di Covid-19 in Italia, ad esempio, le istituzioni quali il Ministero della Salute, i rappresentanti del Governo, l’Istituto Superiore di Sanità e la Protezione Civile hanno informato la popolazione del rischio imminente di contagio da nuovo coronavirus e chiesto alle persone di adottare alcuni comportamenti come il lavaggio frequente delle mani, l’igiene delle superfici, il distanziamento fisico e l’utilizzo delle mascherine per la salvaguardia dei singoli e della comunità.
    La crisis communication non ha la funzione di rassicurare il pubblico ad ogni costo, infatti un’eccessiva rassicurazione impedisce di motivare le persone ad agire in maniera corretta per affrontare il rischio. Un adeguato livello di preoccupazione, invece, senza sfociare nell’allarmismo, favorisce una maggiore adesione alle indicazioni comportamentali.
    La comunicazione del rischio durante una crisi o un’emergenza, per essere efficace, cioè per salvare vite umane, deve soddisfare i principi di tempestività, trasparenza, chiarezza, coerenza, ascolto, empatia e coinvolgimento.
    Nell’ambito della crisis communication rientrano, inoltre, le strategie comunicative per rimediare a una crisi reputazionale che può investire un’istituzione pubblica o un’azienda privata. 
  1. La consensus communication che ha l’obiettivo di favorire il confronto tra le parti in una controversia sul rischio per giungere a scelte il più possibile condivise e partecipate nella gestione del rischio (es. controversie su organismi geneticamente  modificati (OGM), sulle emissioni degli inceneritori,...).
    Le discussioni possono riguardare la natura di un pericolo e le sue possibili conseguenze, l’effettiva entità di una minaccia o le modalità di gestione della stessa, coinvolgendo a vario titolo diversi stakeholder.
    In questo ambito rientrano le cosiddette “sindromi Nimby” (Not in my back yard = non nel mio cortile) termine utilizzato per indicare le contestazioni delle comunità locali contro la realizzazione di impianti industriali, infrastrutture considerate di interesse generale o progetti giudicati impattanti per la salute e per l’ambiente.

Per ogni ambito di applicazione della comunicazione del rischio il manuale fornisce una checklist come strumento strategico a supporto della pianificazione.
Nell’ultima parte del testo, Sturloni sottolinea che nella comunicazione del rischio non esistono ricette universali valide per tutte le situazioni, ma descrive i 9 principi che possono orientare la comunicazione sui rischi per la salute e per l’ambiente rendendola più efficace:

  1. Mai negare, nascondere o sminuire i rischi
  2. Condividere informazioni chiare, trasparenti e tempestive sul rischio e sulle contromisure che si possono adottare per prevenirlo o mitigarlo
  3. Ammettere limiti e incertezze del sapere disponibile
  4. Tenere conto di percezioni, conoscenze, esperienze, valori e atteggiamenti dei destinatari nei confronti del rischio
  5. Seguire le logiche dei mass madia e usare i canali comunicativi più ad adatti per raggiungere il pubblico
  6. Rispettare le preoccupazioni dei cittadini
  7. Adottare un atteggiamento aperto e dialogico, prestando ascolto a tutti gli interlocutori
  8. Favorire il coinvolgimento degli stakeholder
  9. Monitorare gli effetti della comunicazione del rischio

Infine, l’efficacia della comunicazione del rischio si misura valutando il raggiungimento degli obiettivi prefissati durante un processo di pianificazione che deve considerare quattro aspetti essenziali quali la conoscenza del profilo dei destinatari; la definizione degli obiettivi che si intendono raggiungere; la scelta dei messaggi più opportuni e l’individuazione dei canali più adatti per raggiungere i destinatari.
Nel caso della comunicazione delle emergenze è fondamentale diffondere una cultura del rischio “in tempo di pace” che comprenda la capacità di delineare scenari possibili e pianificare le strategie per affrontarli, oltre alla sensibilizzazione delle comunità rispetto alla consapevolezza dei rischi che si corrono e dei comportamenti che si devono adottare all’occorrenza.

Il testo è consultabile presso il Centro DoRS.


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