Il rischio di "normalizzare" la pratica medica ai tempi del coronavirus
L'esperienza di un medico ospedaliero americano
a cura di Rita Longo

L'autore descrive nel dettaglio la prassi medica di questi mesi, a partire dalla sua esperienza lavorativa all'interno dell'Ospedale Generale di Boston, e inquadra l'anormalità del lavoro con i pazienti covid e il senso di smarrimento del personale ospedaliero, evidenziando il forte rischio di virare verso una sorta di "adattamento normalizzante" per rendere meno dolorosa e più gestibile la prassi medica attuale.

Le Conclusioni dell'articolo: "È la nostra nuova normalità. Ma perdiamo qualcosa se permettiamo a noi stessi di diventare indifferenti alla situazione considerandola normale.  All'inizio della pandemia ero nervoso ma eccitato all'idea di occuparmi d qualcosa di nuovo, come fosse una sfida: adesso i casi critici sono diventati routine, comuni, parte di un modello e conformi alla procedura: invio le etichette in laboratorio, prenoto le radiografie, intubo il malato. Da inizio gennaio ci sono state nel Paese più di 3000 morti dovute al Covid, un'intera galassia di persone spazzata via da una piaga pericolosa e sconosciuta, per la quale noi medici non eravamo attrezzati. Normalizzare la situazione significa essere "compiacenti", "condiscendenti" con un sistema organizzativo che non sostiene e una cultura professionale che impedisce di mettersi in discussione. La "normalizzazione" della cura in questa situazione estrema è pericolosa tanto quanto il virus".

Clayton Dalton. The risk of normalizing the coronavirus. What do we lose when we become numb to mass death?  The New Yorker, Medical Dispatch, 7 maggio 2020


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