Sicurezza stradale: indicazioni per buone prassi educative
a cura di Paola Capra, Rita Longo - Dors

Nella relazione uomo / veicolo / ambiente, in caso d’incidente stradale, il comportamento umano è responsabile al 90%, l’ambiente al 30% e il veicolo al 10%. E’ perciò necessario agire sul comportamento umano: ma come?

L’educazione alla sicurezza stradale (Road safety education – RSE) è una delle 4 strategie per la sicurezza sulle strade, le 4 E, con enforcement, interventi di ingegneria sul veicolo ma anche a livello di ambiente e infrastrutture (engineering), misure di emergenza in caso di incidente (emergency systems).
Non è certo la strategia che arreca i benefici più immediati, rispetto ad azioni sulla rete viaria o di enforcement e controllo: però è necessario un approccio educativo per favorire una politica sulla sicurezza stradale equilibrata e completa e per consentire l’accettabilità sociale delle altre strategie.

Lo studio Assailly 2015 si articola in due parti così strutturate:

  1. obiettivi e principi chiave dell’educazione alla sicurezza stradale (RSE), adattamento dell’RSE all’evoluzione che la sicurezza stradale ha avuto nei Paesi del mondo occidentale, RSE e l’ approccio “Safe system”, modalità di valutazione di un intervento di RSE.

  2. RSE e buone prassi, con un focus sui metodi educativi che sono stati valutati positivamente con adolescenti e giovani adulti e con indicazioni per la pratica.  

 

1. Educazione alla sicurezza stradale (Road Safety Education – RSE)


Obiettivi e principi chiave

RSE persegue tre obiettivi principali:

  • promuovere/aumentare la conoscenza e la comprensione di regole e situazioni inerenti il traffico;

  • migliorare/rafforzare le competenze attraverso la formazione e l’ esperienza;

  • rafforzare e/o modificare gli atteggiamenti rispetto alla consapevolezza del rischio, la sicurezza personale e la sicurezza di tutti gli utenti della strada.

 

Perché un intervento di RSE sia promettente devono essere rispettati alcuni principi:

  • ogni azione/attività deve essere adeguata al livello di sviluppo e di maturità di chi apprende (per esempio non si insegna la sicurezza pedonale allo stesso modo a bambini di 6 e di 12 anni);
  • ogni azione deve fondarsi su una solida conoscenza dell’”incidentologia” del destinatario a cui ci si rivolge (per esempio: chi è più a rischio? Come accadono gli incidenti stradali? Quali sono i loro meccanismi?);

  • è necessaria una corrispondenza tra il tipo di persona / tipo di intervento (per esempio esistono interazioni tra fattori individuali (sociali, genetici) e l’impatto di certe azioni di prevenzione?);

  • esistono difficoltà per raggiungere i gruppi più a rischio (per esempio le femmine partecipano maggiormente, ma sono meno a rischio rispetto ai maschi);
  • è necessario adattare l’intervento educativo ai fattori culturali e demografici che influenzano il coinvolgimento in un incidente stradale (per esempio, in Asia o Africa il diffuso senso di invulnerabilità o fatalismo);
  • è necessario utilizzare un approccio integrato in cui l’RSE tenga conto dell’associazione di diversi comportamenti a rischio nei giovani (guida pericolosa, uso di sostanze psico-attive, sesso non protetto, problemi scolastici).

 

RSE e l’evoluzione storica della sicurezza stradale   

Mobilità perdonale vs mobilità veicolare: per quanto concerne bambini e mobilità si è avuto un passaggio dalla mobilità pedonale, prevalente nel secolo scorso alla mobilità veicolare attuale, come passeggeri di autoveicoli (anche se è necessario sottolineare che esistono differenze tra i paesi dell’Unione Europea, per esempio Regno Unito e Paesi Bassi puntano ancora molto sull’importanza di andare a scuola a piedi o in bicicletta).

Questo si riflette sui dati della mortalità infantile: in Francia negli anni ’50, ’60, ’70 su 10 bimbi morti per incidente stradale, 7 erano pedoni e 3 viaggiavano su auto: oggi 3 sono pedoni e 7 sono passeggeri, la proporzione si è invertita).

La RSE si è adattata a questo cambiamento: non più solo educare i bambini alla mobilità pedonale ma fare appello alla “responsabilità dei genitori. La RSE deve essere il più precoce possibile e  interrogarsi sull’influenza dei genitori nella trasmissione di modelli comportamentali, sull’influenza dell’ambiente sociale e degli aspetti emotivi e affettivi nel coinvolgimento in incidenti stradali.

 

Educazione o riduzione dell’esposizione? Nata in Svezia molti anni fa ma tuttora in corso una discussione inerente gli interventi rivolti ai bambini: al tradizionale approccio educativo dell’RSE si è affiancato un approccio che punta su una  “riduzione dell’esposizione al rischio” mediante norme e pianificazione cittadina. Secondo questo nuovo approccio ai bambini non possono essere insegnati comportamenti sicuri e perciò non possono assumersi la responsabilità della sicurezza, prima dell’adolescenza (11 anni di età), per via della limitata strutturazione cognitiva e percettiva; anzi farlo potrebbe essere controproducente.
E’ necessario e raccomandato dalle scuole innanzitutto, educare i bambini a come cambiare l’ambiente che li circonda, per esempio sensibilizzando e influenzando le autorità locali a ridurre i limiti di velocità intorno alle scuole, con la raccolta e la presentazione di dati statistici.

C’è chi invece sostiene la necessità di un approccio integrato che associ RSE ad azioni dirette all’esposizione: fare affidamento solo sulla protezione, sottraendo i bambini all’esposizione del traffico o riducendola al minimo può avere effetti dannosi e creare adolescenti assolutamente inesperti dei pericoli della strada e incapaci di affrontarli.

Una buona strategia di RSE dovrà prendere in considerazione il livello di sviluppo del bambino, l’esperienza e l’esposizione.

 

RSE e l’approccio “Safe system”

Molti Paesi europei, per prevenire gli incidenti stradali spingono per un approccio “Safe System”, approccio che a sua volta nasce da efficaci strumenti utilizzati già in passato per il monitoraggio e il controllo degli incidenti, per esempio la matrice di Haddon.  Questa matrice analizza i fattori di rischio di un incidente secondo categorie individuali e ambientali e correlandole al momento dell’azione (prima, durante, dopo l’incidente).

Un approccio Safe System mira a creare un sistema di sicurezza stradale comprensivo di infrastruttura stradale,  normativa e veicoli, in cui l’aspetto sicurezza è incorporato nel disegno del sistema e non dipende o è influenzato dalle decisioni individuali di chi guida. E’ parte integrante del sistema in modo tale che se l’ambiente stradale è insicuro lo è per tutti gli utenti di ogni fascia di età e se diventa più sicuro è più sicuro per tutti.

Approcci Safe System ne esistono di differenti in Europa: li accomuna la convinzione che la RSE  non può essere considerata a sé, avulsa dal sistema: non sarebbe affidabile.

 

Come valutare gli interventi di RSE

Spesso i  programmi di RSE vengono sviluppati e realizzati senza disporre di prove sulla loro reale efficacia. La questione è: quali indicatori di risultato inerenti la sicurezza prendere in esame?  
La riduzione della prevalenza di incidenti, l’outcome più ovvio è anche il più difficile da misurare, soprattutto in riferimento ad un intervento di RSE: vorrebbe dire monitorare popolazioni spesso molto numerose, per periodi di tempo assai lunghi, per dimostrare un effetto significativo dell’ intervento di RSE sugli incidenti.

E’ possibile utilizzare delle misure “surrogate” - anche detti proxy- degli effetti dell’RSE, che potrebbero essere  predittive degli incidenti 

  • indicatori di performance in materia di sicurezza che funzionano come elementi predittivi di incidenti;

  • antecedenti psicologici di comportamenti rischiosi che sono fattori causali secondo la psicologia sociale.

Gli indicatori di performance della sicurezza possono essere di natura empirica (l’aumento del rischio di incidente è noto) o logica (l’aumento del rischio di incidente è ipotetico): per esempio i tassi di guida in stato di ebbrezza, di alta velocità  ecc. possono essere predittori del coinvolgimento in un incidente stradale e possono venire misurati con osservazioni in reali situazioni di traffico o invece autoriferiti: entrambi i metodi hanno validità predittiva.

Gli antecedenti psicologici dei comportamenti a rischio sono per esempio gli atteggiamenti, le credenze; alcune teorie per il cambiamento del comportamento si sono rivelate molto utili nel prevedere l’adozione di comportamenti sicuri o rischiosi (per esempio, la teoria del comportamento pianificato di Ajzen).

 

2. RSE e buone prassi

 

Caratteristiche dei metodi educativi più promettenti

  • Interventi per i giovani che puntano sull’interazione tra l’esperienza pratica del traffico e l’esperienza emotiva. Per esempio: esporre giovani guidatori o futuri guidatori ad un’esperienza educativa significativa che trasmetta messaggi sulla sicurezza in grado di avere un impatto sul loro comportamento o almeno sui loro atteggiamenti;

  • e-learning o formazione a distanza che permette la ripetizione di moduli formativi sullo stesso tema senza dover affrontare i reali rischi del traffico. Per esempio: impiego di moduli di e-learning per giovani guidatori che sono recidivi, cioè rei di aver commesso infrazioni stradali;

  • i simulatori di guida efficaci nel migliorare la percezione del rischio e calibrare le competenze individuali. Per esempio: una formazione che utilizza computer e programmi di simulazione facilita l’acquisizione di abilità cognitive connesse alla guida, e rinforza le abilità di percezione del rischio;

  • campagne di media marketing sulle norme sociali, che diffondono informazioni accurate circa i dati reali di un problema, il consumo di alcol nella popolazione studentesca giovanile, mediante annunci on line, pieghevoli, poster, possono essere efficaci nel modificare i comportamenti, con la correzione delle “erronee percezioni normative” note anche come “falso consenso” (per esempio: i giovani pensano che i loro coetanei abusino di alcol in maniera maggiore di quanto accade nella realtà);

  • gli interventi focalizzati sui genitori possono essere molto utili per migliorarne l’azione di supervisione, per esempio la formazione e l’educazione aumentano le conoscenze dei genitori e l’uso del seggiolino. Inoltre anche quando i bambini sono diventati giovani adulti, un monitoraggio da parte dei genitori durante le notti dei fine settimana o nella scelta dei coetanei è un importante fattore protettivo. Per approfondimenti si invita la lettura della sintesi di studi e review Dors “Giovani alla guida: i genitori quale ruolo giocano”;

  • è necessario ed utile usare i vari metodi sopra elencati in maniera sinergica e comprensiva, combinare teoria e pratica, e rendere complementari conoscenze e competenze.

 


Indicazioni per la pratica
 

  • Sviluppare interventi di RSE rivolti a gruppi specifici. Nei Paesi dell’Unione Europea gli interventi di RSE sono sviluppati soprattutto nelle scuole primarie, in misura minore nelle scuole medie e sono quasi assenti nelle scuole medie superiori e all’università: ciò è paradossale, visto che i tassi più elevati di decessi per incidente stradale  riguardano i ragazzi di età compresa tra 15 – 20 anni;

  • i metodi educativi più efficaci sono quelli che incoraggiano la partecipazione attiva degli studenti (role playing, simulazioni, ecc.) e l’interazione con gli adulti (come dibattiti, discussioni);

  • i risultati più promettenti derivano dagli interventi che migliorano le abilità psicosociali, per esempio l’autostima, l’assertività, la resistenza alla pressione dei pari;

  • il programma deve essere adeguato al livello di maturità ed esperienza degli studenti;

  • gli interventi sui gruppi a rischio sono generalmente più validi, ma il setting scuola non è del tutto adatto a questo tipo di approccio per motivi etici e di riservatezza;

  • gli interventi multifocali, che combinano più tipologie di target (giovani, genitori, insegnanti, ambiente scolastico, …) sembrano essere più efficaci, soprattutto se coinvolgono i genitori in maniera attiva e per tutta la durata del programma;

  • un fattore di successo è rappresentato dalla coerenza tra i messaggi educativi e l’azione proposta;

  • la qualità dell’implementazione del programma è importante tanto quanto il programma in sé;

  • la formazione e la supervisione dei vari stakeholder è essenziale per il successo del programma (per esempio la formazione degli insegnanti sulle dinamiche di gruppo, per una migliore comunicazione con gli studenti);

  • accanto alla formazione degli insegnanti, gioca un ruolo importante la qualità dell’ambiente scolastico, in termini di realizzazione di attività innovative, attenzione alla relazione tra genitori e insegnanti, coinvolgimento dei servizi sanitari, possibilità di partecipazione attiva per i genitori;

  • i principali motivi di fallimento sono rappresentati da interventi in situazioni critiche, approcci di tipo moralistico, basati sulla paura, programmi troppo dipendenti da fattori esterni (in cui è mancato o è stato carente il coinvolgimento degli operatori scolastici e dei genitori), situazioni di insufficiente o scarsa formazione degli insegnanti.

 

Conclusioni 

Gli interventi di RSE per ottenere effetti positivi devono attenersi ai principi chiave sopra menzionati e applicare i metodi che la letteratura ha valutato promettenti.

Inoltre l’RSE dovrebbe far parte di un processo di apprendimento che dura per tutta la vita, e non essere considerato, come avviene in molti paesi, un tema da trattare solo in ambito scolastico. Per ogni fascia di età dovrebbero essere formulati obiettivi concreti e strategie di intervento adeguate, valutandone effetti e controllando la qualità con regolarità, per individuare le eventuali criticità nei processi di implementazione e per ritarare e adattare i metodi utilizzati.

Infine, sono interessanti i recenti approcci indirizzati alla persona e non solo al guidatore,  attraverso lo sviluppo delle life skills o abilità psicosociali, in termini di autostima, autoefficacia percepita, assertività, resistenza alle pressioni dei pari, autocontrollo, autoregolazione, … ; è possibile anche ipotizzare un’ abilità “meta-cognitiva” denominata autovalutazione. I programmi basati sulle life skills considerano in maniera globale e olistica la salute e il benessere dei giovani, in quanto ipotizzano che la sofferenza psicologica sia spesso la causa di comportamenti a rischio e di dipendenze. Questi programmi sono stati oggetto di valutazione positiva negli Stati Uniti e in Australia, ma la loro applicazione è limitata da tempi, investimenti e impegno necessari.

 

 

Riferimenti bibliografici: Assailly JP. Road safety education: what works? Patient education and counseling 2015; pii: S0738-3991(15)30098-7. doi: 10.1016/j.pec.2015.10.017. [Epub ahead of print] 

 

 

 

 

 

 

Foto di: BarnImages.com


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