Valutazione e processi decisionali: dalla previsione alla prefigurazioneNell’epoca della post-modernità e dell’emergenza pandemica il tema della “crisi del progetto” emerge con più forza ponendo la questione della scelta tra una valutazione previsionale o prefigurativa.a cura di a cura di Patrizia Lemma, Dipartimento delle Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di TorinoPubblicato il 22 Giugno 2020Aggiornato il 22 Luglio 2020RecensioniIntroduzioneDalla valutazione direttiva e predittiva...… alla valutazione partecipativa e prefigurativaQuattro criteri per una valutazione sostenibile a livello localeBibliografiaSul libroArticoli correlati su DorsIntroduzioneAbbiamo chiesto a Patrizia Lemma una seconda riflessione liberamente tratta dal suo testo Promuovere salute: principi e strategie. Roma, 2018; Il Pensiero Scientifico Editore.Nella prima la riflessione ruotava intorno al superamento della disconnessione tra ciclo delle politiche e delle pratiche. In questa seconda il superamento viene realizzato anche da processi decisionali che siano orientati verso una costruzione di senso condivisa all’interno dei processi di valutazione sostenuti dai diversi attori sociali interessati alle politiche e alle pratiche che promuovono benessere, salute ed equità. L’articolo rientra nella serie di appuntamenti su teorie, metodi e strumenti che facilitano i processi partecipativi utili alla progettazione di interventi e alla pianificazione di programmi nell’anno della scrittura del nuovo Piano della Prevenzione 2020-2025. Rootman (2001) nell’individuare i principi a cui deve rispondere la valutazione per definirsi appropriata alle iniziative di promozione della salute affermava che questa dovrà essere: progettata attraverso la collaborazione delle diverse discipline (per ampliare i punti di vista e le procedure utilizzate); disegnata in modo da accogliere la complessità che caratterizza i suoi interventi; delineata coinvolgendo nei modi appropriati i diversi attori sociali interessati tracciando un processo che costruisca le capacità utili a promuovere salute. Dalla valutazione direttiva e predittiva...Al variare del modo di interpretare il coinvolgimento della comunità (il ruolo che gli si assegna e le finalità per cui è ricercato) si modifica la maniera in cui le diverse fasi della progettazione sono condotte e le finalità dell’azione valutativa. Il tradizionale approccio agli interventi in comunità, caratterizzato da un basso livello di partecipazione poiché centrato sulle scelte condotte da esperti, disegna il processo di progettazione come una sequenza lineare: alla definizione del quadro conoscitivo della realtà in cui si condurrà l’intervento, ritenuta adeguata da coloro che hanno la responsabilità della conduzione delle azioni, segue l’assunzione delle scelte e la loro successiva attuazione e valutazione. Questo modello direttivo, almeno nella sua più semplice interpretazione, appare governato da una razionalità orientata ad un predefinito scopo, e il processo decisionale che mette in atto è teso a individuare e adottare i mezzi che permettano, nel modo ritenuto il migliore possibile, cioè più efficace e meno costoso, di raggiungere il fine dato. Quello che si richiede alla valutazione è quindi di prevedere gli esiti in base alle premesse: a partire dalla conoscenza del teatro dell’intervento, e delle possibili soluzioni al problema identificato, si richiede d’individuare gli obiettivi che è possibile perseguire (valutazione “ex-ante”). Il suo ruolo è di giudicare a priori la bontà di un programma, insieme alla sua realizzabilità, valutandone quindi l’efficacia teorica e pratica e prevedendo la modificabilità della situazione in seguito alla “somministrazione” dell’intervento. Dagli obiettivi discenderanno poi gli indicatori, rispetto ai quali verranno effettuate le misurazioni che permetteranno di verificare il corretto procedere verso le mete, e il loro successivo raggiungimento. Alla valutazione, in questo secondo momento, si chiede quindi di individuare quelle variabili significative che permetteranno di monitorare il corretto svolgersi del programma (valutazione “in itinere” o “di processo”) e il raggiungimento degli obiettivi (valutazione “ex-post” o “di risultato”), completando così il ruolo predittivo che le era stato assegnato (Bezzi, 2001). Interpretando la logica dell’azione razionale i programmi d’intervento, all’interno delle comunità, altro quindi non sono se non i mezzi scelti come i più utili per ottenere i definiti obiettivi, che rappresentano i fini da raggiungere. Il ciclo tecnico/politico che fa da sfondo è allora quello che parte dalla decisione di voler raggiungere un obiettivo, porta alla scelta dell’implementazione di un determinato intervento, alla verifica della sua capacità di raggiungere gli obiettivi e quindi alla nuova decisione, con un uso tutto strumentale della valutazione che dovrà consentire, a chi ha la responsabilità di doverlo fare, di prendere decisioni (Bobbio, 1996). Questo modello si fonda però su alcuni presupposti: la reale possibilità da parte del decisore di individuare con chiarezza un problema e di poter identificare tutti gli interventi, alternativi o meno, che possano condurre al suo superamento; ma anche quella di poter prevedere tutte le conseguenze che deriveranno dalla selezione di ogni alternativa, e di poter quindi definire tutti gli obiettivi il cui conseguimento dovrebbe condurre alla soluzione del problema; non dimenticando poi l’assunto che l’attuazione degli interventi scelti rappresenti una mera esecuzione di quanto deciso (Jullien, 1996). Solo all’interno di questa impostazione, sempre più ritenuta come semplicistica, possono avere senso i ruoli predittivo e di monitoraggio che gli approcci direttivi assegnano alla valutazione. … alla valutazione partecipativa e prefigurativaNel dibattito intorno agli elementi che caratterizzano la “post-modernità” (Giddens, 1994) il tema della “crisi del progetto” emerge costantemente. Le sue radici sarebbero anche da ricercare nel venir meno di un altro tra i presupposti su cui si fonda la conduzione della progettazione in termini di razionalità assoluta: la condivisione, tra i soggetti coinvolti nell’azione di sviluppo di comunità, del quadro di certezze e valori da perseguire. Saltando questo presupposto l’ampia partecipazione dei diversi attori sociali al processo decisionale risponderà allora alla necessità di ricostruire il senso stesso che fa da cornice all’azione: e questo non potrà non avere conseguenze sul ruolo assegnato alla valutazione all’interno dei processi decisionali. In questo procedere verso una progettazione interattiva a razionalità limitata accade allora che la valutazione non sia più solo il frutto di certezze scientificamente fondate, quanto piuttosto il prodotto di una negoziazione: essa diviene lo strumento sia per comprendere la situazione e definire i problemi, attraverso l’interpretazione che ne danno i diversi attori sociali, sia per chiarire ciò che dal programma si potrà ottenere. La valutazione passa allora da una concezione previsionale a una prefigurativa, operando attraverso la definizione di scenari che, sintetizzando le informazioni di cui si è in possesso, mettano in luce i vincoli e le opportunità derivanti dal contesto in cui si opera: solo infatti partendo da una base comune si potrà sviluppare un processo decisionale che possa realmente individuare condivisi obiettivi e risultati attesi. Questo richiede però che tra gli attori si crei una reale dimensione collaborativa e si sviluppino efficaci processi comunicativi: quanto più verrà garantita la produzione di processi di formazione delle opinioni tanto più le prefigurazioni saranno affidabili (Stame, 2001). Con il ridursi delle certezze la valutazione diventa quindi un’attività di supporto strategico, che coinvolge i diversi attori, e che si propone di rilevare le conseguenze, previste e non previste, delle azioni messe in atto. Per ritrovare le radici della riflessione intorno alla necessità della partecipazione della comunità alle scelte valutative bisogna ritornare a Lewin (1946), che sviluppa i principi della “ricerca-azione”, e all’”educazione popolare” di Freire (1973): entrambe gli autori sottolineano il ruolo fondamentale del processo di riflessione che segue l’azione e guida l’individuazione delle scelte future divenendo il volano del processo di empowerment e di sviluppo di capacità individuali e collettive. Tra le più interessanti proposte che guardano nella direzione di valutare lo sviluppo di tale processosi trova quella di Laverack (2008; 2018) che individua una lista di quelli che definisce “domini” d’influenza (la capacità di analisi dei problemi, quella di ‘chiedersi perché’, la partecipazione, la capacità di gestione dei programmi, la leadership, la capacità di ricerca e gestione delle risorse, la capacità di collaborare con altri) attraverso i quali si esprimerebbe la capacità di controllo della vita da parte degli individui e della comunità nel suo complesso. Intorno a tali capacità fondamentali, che rappresenterebbero gli elementi costituenti l’empowerment, andrebbero progettate le azioni di sviluppo di comunità e andrebbe poi valutata, attraverso tecniche osservative e narrative, l’acquisizione di queste capacità. All’interno di ognuna di queste aree è infatti possibile descrivere un continuum che, partendo dall’osservazione dell’assenza della capacità, individua quegli elementi che, presentandosi, mostrano un progredire all’interno del processo di sviluppo. L’accento non è però posto sulla valutazione preliminare delle conoscenze e capacità mancanti, nel tentativo di adattare contenuti e metodi dell’azione alle caratteristiche dei soggetti coinvolti, ma si pone invece sul ciclo di “azione-riflessione-azione” attraverso il quale i soggetti svilupperanno le capacità di controllo della propria vita (Wiggins e coll, 2009). Lo stesso autore parla poi di “double tracking” sostenendo che, sia nella progettazione che nella valutazione dei progetti di promozione della salute, sia possibile delineare due strade parallele: il processo per raggiungere gli obiettivi di salute e quello per incrementare l’empowerment (Laverack, 2008; 2018). Due strade che variamente si intrecciano, anche in ragione dell’approccio seguito nella progettazione e che devono essere entrambe tenute sotto controllo: contemporaneamente ma separatamente. Solo così sarà possibile cumulare conoscenza sul ruolo svolto dallo sviluppo dell’empowerment nel raggiungimento degli obiettivi di salute. Parlare di valutazione “partecipata” vuol dire allora ricercare la collaborazione della comunità non solo per raccogliere le informazioni necessarie a valutare ma, soprattutto, per interpretarle e dare a queste senso (Fetterman, Wandersman, 2005). Una valutazione “costruttiva” che assume quindi il ruolo di indagare il processo di attuazione del progetto, proponendosi di spiegare se e perché, in quella situazione, un determinato risultato può essere considerato un successo e quindi decidere, insieme ai diversi attori sociali, cosa stia funzionando e proponendo modifiche che andranno nuovamente rilette in questo processo circolare. Quattro criteri per una valutazione sostenibile a livello localeA partire dagli elementi fino a qui discussi è allora possibile delineare un approccio alla valutazione d’impatto di un complesso di interventi di promozione della salute condotti a livello territoriale che, pur rispettando le caratteristiche di tali interventi, risulti “sostenibile” a livello locale? Per tentare una risposta a questa domanda può essere utile riassumere alcuni criteri ai quali questo processo valutativo dovrebbe rispondere. Il primo criterio riguarda il “chi” dell’osservazione e fa riferimento alla relazione che si presume esista fra ricerca e pratica. Questo vuol dire accettare che i cambiamenti che vorremmo ottenere, pur se osservati in altre realtà, non saranno automaticamente attivati attraverso gli interventi messi in atto: e questo per la serie di ragioni già discusse che dipendono dai possibili comportamenti dei diversi attori sociali e dal reagire dell’ambiente sociale al programma proposto. Il secondo criterio guarda invece alla scelta degli interventi: questa dovrà essere guidata da principi di “presumibile efficacia” e sostenuti da solide teorie di riferimento. Gli interventi prescelti andranno quindi descritti e il loro grado di “presumibile efficacia” dovrà essere discusso anche in relazione alle caratteristiche del territorio nel quale si vanno ad inserire. Il terzo criterio fa invece riferimento alla possibilità di utilizzare “al meglio” quei sistemi di sorveglianza esistenti sul territorio che potrebbero cogliere a livello di comunità spostamenti dei fenomeni di salute sui quali si sta intervenendo, pur non essendo in grado di riferirli ai singoli interventi effettuati. Il quarto richiama invece ad un aumento della responsabilità nel valutare gli impatti intermedi, che vada oltre i tradizionali termini della sorveglianza della reale messa in atto delle attività prescelte, ma che si attrezzi ad osservare il complesso dei possibili effetti, attesi e non attesi, che si osservano nella popolazione coinvolta dagli interventi. A partire da questi elementi il disegno di osservazione, utile ad una valutazione costruttiva e sostenibile, dovrà essere in grado di: descrivere il territorio nel quale si agisce e gli interventi che si mettono in atto, utilizzare i sistemi informativi esistenti sul territorio, impiegare tecniche di valutazione capaci di creare una reale dimensione collaborativa e che siano in grado di garantire l’attivazione dei processi di costruzione delle opinioni intorno agli elementi di cui si desidera osservare il cambiamento. BibliografiaBezzi C (2001). Il disegno della ricerca valutativa. Milano: Franco Angeli. Bobbio L (1996). La democrazia non abita a Gordio - Studio sui processi decisionali politico-amministrativi. Milano: Franco Angeli. Fettermen D, Wandersman A (2005). Empowerment evaluation principles in practice. New York: The Guilford Press. Freire P (1973). L’educazione come pratica di libertà. Milano: Mondadori. Giddens A (1994). Le conseguenze della modernità. Bologna: Il Mulino. Jullien F (1996). Traité de l’efficacité. Paris: Editions Grasser & Fasquelle. Laverack G (2008). Health promotion in action – From local to global empowerment. Basingstoke: Palgrave Macmillan. Laverack G (2018). Salute pubblica – Potere, empowerment e pratica professionale. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore. Lewin K (1946). Action research and minority problems. Journal of Social Issues 2: 34-46. Marradi A (1996). Due famiglie un insieme. In: Cipolla C, DeLillo A, eds. Il sociologo e le sirene: la sfida dei metodi qualitativi. Milano: Franco Angeli. Rootman I (2001). Introduction. In: Rootman I, Goodstadt M, Hyndman B, et al. (eds.) Evaluation in health promotion – Principles and Perspectives. Copenhagen: WHO. Stame N (2001). Tre approcci principali alla valutazione: distinguere e cambiare. In: Palumbo M. Il processo di valutazione. Milano: Franco Angeli. Wiggins N, Johnson D, Avila M, et al. (2009). Using popular education for community empowerment: perspectives of Community Health Workers in the Poderes Salud/Power for health program. Crit Public Health 19: 11-22. Sul libroPatrizia Lemma, Promuovere salute: principi e strategie, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2018 Indice Prefazione Recensione pubblicata su Prospettive Assistenziali. 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