La città del noia cura di Claudio Tortone, DorsPubblicato il 23 Maggio 2016Aggiornato il 21 Giugno 2016RecensioniIl convegnoAlimentare la capacità di aspirare, di andare oltre la normalitàQualcosa “frullava” già… silenzioso… dentro…È cruciale la prossimità e l’intimità, il costruire insieme i nessi tra le personeOccorre transitare dai luoghi della cura alla cura dei luoghiI servizi sociali da posti delle risposte a lievito della comunitàServizi che si stanno sempre più “specializzando/separando” dal flusso della vita!Il convegnoIl terzo appuntamento nazionale per operatori sociali, promosso e organizzato dalla rivista Animazione Sociale del Gruppo Abele (Torino, 10-12 marzo 2016), ha raccolto oltre 700 operatori del sociale per riflettere e confrontarsi su “La città del noi, per una politicità dei desideri nel lavoro sociale” e sul documento di base appositamente predisposto. Se dovessi scegliere un messaggio che possa esprimere sinteticamente i tre giorni di lavori, sarebbe una delle affabulazioni di Alessandro Bergonzoni, che ci ha donato la sera del venerdì: “dobbiamo cercare il sindaco che c’è in noi”. Il “NOI” non può essere costruito, rappresentato e vissuto senza un “IO”, non un io-solitario, ma un io-plurale però, fatto di relazioni. Se dovessi scegliere un messaggio che possa esprimere sinteticamente i tre giorni di lavori, sarebbe una delle affabulazioni di Alessandro Bergonzoni, che ci ha donato la sera del venerdì: “dobbiamo cercare il sindaco che c’è in noi”. Il “NOI” non può essere costruito, rappresentato e vissuto senza un “IO”, non un io-solitario, ma un io-plurale però, fatto di relazioni. Partecipando al workshop “Rompere la solitudine del cittadino locale producendo beni comuni”, ho avuto la chiarezza intuitiva di questa relazione IO-NOI. L’esperienza plurale dell’ex-Fadda di San Vito dei Normanni è stata possibile grazie a due fattori: una politica regionale (Bollenti Spiriti) che ha trovato nei vecchi edifici abbandonati, un’opportunità per giovani idee fornendo un percorso di investimento attraverso i Laboratori Urbani. La scommessa è stata vinta, a San Vito dei Normanni, con un progetto di sviluppo locale che ha dato un impatto sociale e la sostenibilità economica. La scommessa è stata vinta anche per una proficua combinazione di visione politica dall’alto e dal basso. È un bell’esempio da studiare, intervistare e trasferire nell’approccio e nel modello. Durante il laboratorio è stata segnalata un’altra esperienza simile a Napoli, presso l’ex-Asilo Filangieri. È uno spazio aperto dove si va consolidando una pratica di gestione condivisa e partecipata di uno spazio pubblico dedicato alla cultura, in analogia con gli usi civici: una diversa fruizione di un bene pubblico, non più basata sull’assegnazione ad un determinato soggetto privato, ma aperto a tutti quei soggetti che lavorano nel campo dell’arte, della cultura e dello spettacolo che, in maniera partecipata e trasparente, attraverso un’assemblea pubblica, condividono i progetti e coabitano gli spazi. La seconda esperienza presentata nel laboratorio è stata il movimento del Social Street nato in via Fondazza a Bologna e diffusosi in Italia e nel mondo, un esempio “dal basso e nella circolarità” secondo la lettura proposta da Bonomi nella mattinata. L'idea del "social street" ha origine dall'esperienza del gruppo facebook "Residenti in Via Fondazza – Bologna" iniziata nel settembre 2013. L'obiettivo del Social Street è quello di socializzare con i vicini della propria strada di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale. Per raggiungere questo obiettivo a costi zero, ovvero senza aprire nuovi siti, o piattaforme, Social Street utilizza la creazione dei gruppi chiusi di Facebook. Le città quindi non sono fatte solo di abitazioni, ma anche di abitanti (Stefano Boeri): il patrimonio più grande sono le relazioni possibili tra le persone, che non devono essere lette come somma di solitudini che non trovano legame (indifferenza, separazione, conflitto), ma come ponti che possono far incontrare e confrontare le diversità, costruire nuove città possibili ricche di capitale sociale. È la possibilità di integrare per rispondere alla domanda di Salvatore Natoli: i tanti io-dispersi possono ancora desiderare di essere-noi? Per questo ci vogliono nuove alleanze (Franco Floris): solo nella rete tra operatori che sanno ascoltare i nuovi fermenti dei quartieri e delle comunità, uscendo ed entrando nel “reticolo sotterraneo” delle nostre città e dei nostri territori, possiamo trovare una soluzione nella ricerca. Lamentarsi non è sufficiente. L’auto-organizzazione dal basso sale verso l’alto e chiede alle Istituzioni di essere ospitali e istituenti. L’appuntamento è stato ricco negli stimoli e nei confronti grazie alle prassi presentate, prassi-che-fanno-ricerca ricercando innovazione sociale, e grazie agli stimoli riflessivi di ricercatori, studiosi e uomini e donne della cultura, perché anche questa può contribuire alla rigenerazione. Sento che questo appuntamento “chiede” di abbattere i muri tra sociale e sanitario, se vogliamo veramente contrastare le diseguaglianze nella salute e le nuove povertà che stanno diventando prepotentemente e disperatamente evidenti. La lettura dei contributi che appariranno su Animazione Sociale nei prossimi mesi e il documento di base presentato durante i lavori a Torino saranno utili nei percorsi di realizzazione e sviluppo del Piano Regione della Prevenzione, interpretato secondo i valori e le priorità del documento europeo Salute 2020. Ringraziamo la passione e il lavoro di rete che la redazione della rivista Animazione ha dedicato, con cura, a un appuntamento che ancora una volta ci ha donato molto. Ringrazio i/le colleghi/e e gli/le amici/che, compagni di strada se non nelle collaborazioni operative almeno nello spirito con cui interpretare la propria professione, che hanno voluto rispondere generosamente alla mia richiesta di restituire a tutti noi le loro suggestioni e riflessioni nate dalla partecipazione a La Città del Noi. A loro la parola. Alimentare la capacità di aspirare, di andare oltre la normalitàAngela Fedi, docente di Psicologia Sociale, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Mi porto a casa molte suggestioni. Una riguarda la possibilità di creare luoghi (fisici, sociali) in cui andare oltre la mera sopravvivenza (D’Angella), in cui alimentare un desiderio diverso da quello “senza oggetto” o mimetico (ciò che piace agli altri) (Pulcini). Difficile per i destinatari di molto lavoro sociale ma nient’affatto scontato neanche per noi, per gli operatori, per i “salvati”, sempre più tesi a proteggere le nostre normalità (ad es. contro le minacce terroristiche). La parola “normalità” ha sostituito la razionalità, “è normale”, si dice “che le cose vadano così” (realismo cinico, De Monticelli). Dobbiamo spingerci un po’ più in là, allungare lo sguardo (Olivetti Manoukian). Un’altra suggestione riguarda l’attenzione critica alla retorica della società circolare e molto sharing e al pericolo istituzionalizzante, l’attenzione ad evitare di passare da un’esclusione da forme sociali di scambio verticali (do solo a chi sta più in basso di me, purché ci rimanga…) ad una esclusione dal cerchio (do solo se sei nella cerchia, nella circolarità). È forse solo una forma diversa – e più socialmente accettabile – di darwinismo sociale? Attenzione però anche a non guardare solo a ciò che è urbano, dimenticando tutto il resto, che è microlocale. È l’altra metà della popolazione del mondo, che è comunque sistemicamente in relazione con l’urbe. Abbiamo la necessità, urgente, per comprendere e agire di sconfinare (discipline, appartenenze, culture, noi stessi…), di andare oltre (Bonomi). Abbiamo anche necessità di intercettare la paura, per sciogliere il grumo, la rabbia, per farla diventare creativa (don Ciotti) e mettere entrambe in contatto con la bellezza. Professionalmente dobbiamo formarci e formare a riconoscere, intercettare e nutrire (facendoci nutrire a nostra volta) la molteplicità di reticoli dialogici, attuali luoghi di profonde trasformazioni della soggettività e di costruzione di società diverse (i funghi del sottobosco di Franco Floris). Qualcosa “frullava” già… silenzioso… dentro…Filomena Marangi, Assistente Sociale e Responsabile Area dei Servizi di Welfare di Comunità del Consorzio Monviso Solidale Qualcosa “frullava” già… silenzioso… dentro… ha preso la forma di una domanda che ora bussa con insistenza…è l’anima del Noi? Questa è una sensazione che mi porto dentro, dopo la partecipazione a LA CITTA’ DEL NOI, qualcosa che si muoveva già dentro, ma che è diventato “più prepotente”, come una domanda che non si può più evitare. La partecipazione alla tre giorni promossa da Animazione Sociale ha lasciato molto di più che una sensazione, ha portato con sé domande profonde ed energie, per rimettere in movimento i cantieri e le botteghe del nostro “agire sociale”: se siamo così tanti… allora… possiamo autorizzarci! E’ stata come sempre, una bella iniezione di energia, anche se il clima che si respira nei Servizi Sociali è ancora incerto: la crisi più profonda sembra passata; gli operatori si ritrovano un po’ “disorientati” dopo il naufragio di alcune certezze, abbiamo dovuto abbandonare i miti del welfare state, ma anche in questi anni di crisi non ci siamo arresi a una sterile speranza di tempi migliori; abbiamo provato a immaginare un nuovo welfare locale che fosse sostenibile, fatto di impegno e di passioni non spente; ora la fiducia ritorna a circolare e questi Appuntamenti nazionali fanno “volare il desiderio”; c’è voglia di fare e di lavorare, prestando attenzione a cosa la storia e le esperienze del passato ci possono insegnare. Alcune suggestioni. Ritorniamo all’essenza. Qual è l’essenza delle nostre professioni sociali, educative, assistenziali? Permettere alle persone la realizzazione di sé, rimuovendo gli ostacoli che impediscono alle persone più vulnerabili di accedere ai diritti essenziali, che impediscono di esprimere le proprie risorse e competenze nel diventare cittadini, soggetti attivi e “desideranti”. Come dice il documento di base proposto da Animazione Sociale… Soggetti si diventa, non si nasce… perché per sviluppare la propria soggettività, le proprie capacità e i propri talenti si ha bisogno di risorse esterne, di stare dentro ai legami sociali e alle reti del proprio contesto di vita. È in questo modo che si diventa cittadini, altrimenti restiamo individui consegnati ciascuno alle proprie diseguali risorse. Per noi operatori è necessario riprenderci il mandato istituzionale che già orientava l’agire professionale negli anni 50’-60’ e prenderci cura del territorio perché i contesti di vita sono da considerare come fattori di benessere o malessere. Gli operatori del welfare devono pensarsi dentro un orizzonte che sollecita a uscire dagli uffici e dagli ambulatori per attivare laboratori di cittadinanza attiva. Così dobbiamo riscoprire la matrice politica del nostro lavoro perché se continuiamo ad avere la funzione di umanizzare la società, allora ricordiamo che il nostro ruolo di tecnici è inevitabilmente anche politico (dal documento base Animazione Sociale). Con gli occhi… alle stelle e i piedi… nel territorio In un tempo di poche speranze e di ripresa faticosa della fiducia, è importante interrogarsi sulle priorità, su quello che conta davvero, per poter ri-orientare il nostro sguardo; oggi in un clima ancora di disorientamento e di crisi sociale e culturale possiamo riprendere contatto con le nostre aspirazioni e rimetterci in movimento. È vero che il contesto sociale incide su chi siamo e su cosa possiamo fare, ma esiste anche la libertà di ri-orientare la nostra vita, pur nei vincoli in cui viviamo, ed è proprio questo, quello che cerchiamo di fare nel nostro lavoro sociale con le persone che si rivolgono a noi. … in equilibrio sul filo e senza rete... Mai più da soli… noi operatori non possiamo più permetterci di lavorare da soli “in equilibrio sul filo e senza rete”, non ci è richiesto di fare gli eroi, oggi ci è chiesto invece di riprendere l’antica arte del rammendo, di lavorare pazientemente a riannodare i fili e ricucire gli strappi del tessuto sociale. Neppure le persone di cui ci occupiamo sono isole… la vita delle persone si intreccia con la vita dei loro contesti e delle reti a cui appartengono; sappiamo bene che la salute e la malattia, il benessere e il disagio, la sofferenza e la povertà non sono solo questioni individuali, nascono dentro i contesti di vita delle persone. … È l’anima del noi I desideri degli operatori orientano le azioni e possono assumere valenza politica se messi in comune e intrecciati con quelli degli altri soggetti presenti e attivi nelle nostre città: gli amministratori locali, le Istituzioni del territorio, le Associazioni familiari e di volontariato, gli altri soggetti del III settore… Noi operatori dobbiamo ridiventare “anime pensanti” della polis, riappropriarci di un ruolo di sviluppo delle comunità locali, un ruolo che è rimasto per troppo tempo sullo sfondo del nostro agire professionale; e allora riapriamo i cantieri, dove costruire insieme con i cittadini e le Istituzioni del territorio un nuovo welfare locale sostenibile e generativo di altri “sogni”. Facciamoci interrogare dalle domande che la Città del Noi ha portato con sé, sul nostro sogno di città vivibili e ospitali, capaci di essere coese pur rispettando le differenze. Il naufragio ci ha portati lontani dal mondo conosciuto e ora dobbiamo percorrere altre rotte per trovare nuovi modi, condivisi, sostenibili, realizzabili, dove tutti si possa dire: ”faccio parte del noi”. È cruciale la prossimità e l’intimità, il costruire insieme i nessi tra le personeNorma Perotto, Formatrice e Ricercatrice, Fondazione PAIDEIA Mi è piaciuta la domanda: ma che idea di città avete per voi, per le persone per cui lavorate, per le nuove generazioni? Mi piacerebbe rispondere insieme, per farla diventare una risposta davvero sociale: io nel mio piccolo vorrei luoghi di accoglienza, aperti, senza ostacoli, perché tutti - anche chi arriva da molto lontano - possano provare a immaginare una nuova vita, una nuova storia, luoghi in cui si prende e si offre, si cresce e si cambia, cambiando a sua volta i luoghi che ci ospitano. E forse sentirci tutti ospiti stranieri, in una terra che non appartiene a noi, come dicevano gli indiani d’America. Prendo posto nella sala della Fabbrica delle E, per l’appuntamento annuale degli operatori sociali. So già che incontrerò molti colleghi, persone che vivono e lavorano in altre Regioni, e che riesco a vedere grazie a queste occasioni. Infatti incontro un’assistente sociale che mi dice: oggi non lavoro, mi sono presa un giorno per me, per fermarmi a pensare ed ascoltare. Ma non è forse anche questo il lavoro sociale? Mentre ripenso alle sue parole, ascolto la relazione di Bonomi, che mi ricorda che è cruciale la prossimità e l’intimità, il costruire insieme i nessi tra le persone, il connettere il locale con il globale. E credo che queste giornate ci permettono davvero di essere nella contemporaneità, perché qui si respira aria di cambiamento possibile, ascoltando le testimonianze di colleghi che portano la propria esperienza di metamorfosi nel locale, di nuove strategie per fare incontrare le persone e promuovere la solidarietà nei quartieri, a partire dal piccolo e dal concreto, dalla cura dei luoghi e degli spazi di vita quotidiana. Mi guardo intorno, incontro alcuni miei studenti del corso universitario per educatori professionali, e sono molto orgogliosa che abbiano deciso di investire in tre giorni di formazione, spendendo tempo e denaro! (e dopo qualche giorno mi dicono che per loro è stato emozionante, una conferma che vale davvero la pena fare la scelta di lavorare nel sociale). Mentre i relatori ci raccontano che un’altra Italia è possibile, vedo un bambino che sta imparando a camminare e che gattona tra le sedie, incuriosito dalle persone e dalle voci che sente arrivare dal palco: bravi i genitori che hanno attraversato l’Italia e l’hanno portato con loro; ecco il futuro che prende posto tra noi! Come dice Erri De Luca, i desideri dei bambini danno ordini al futuro, ma sta a noi adulti, oggi, costruire le condizioni perché possano realizzarsi. Occorre transitare dai luoghi della cura alla cura dei luoghiCristina Pukly, Direttore Generale Consorzio Intercomunale di Servizi - CIdiS (Orbassano) e Norma Gigliotti Responsabile dell'Area Minori del CIdiS Infinita comprensione, ascolto paziente e tentativi inesausti di negoziazione. I saperi e i poteri dell’operatore sociale spesso sono troppi e vanno depotenziati per potere stare nella negoziazione. Fragilità non come debolezza, ma come sensibilità, accoglienza e consapevolezza. I servizi devono rovesciare la loro prospettiva, aprendosi a rappresentazioni più asimmetriche, colorate e meno rigide. Devono aprirsi a passioni, colori, incertezze contro le semplificazioni e le “procedurabilità”, pensando verso l’alto. Tornare alla soggettività e intersoggettività, uscire dalle scale rigide. Occorre transitare dai luoghi della cura alla cura dei luoghi: i servizi devono uscire dai loro uffici e curare i luoghi dove vivono le persone e costruire accompagnamenti sociali, superando quelli individuali. Tenere insieme prossimità e simultaneità e assumere un atteggiamento proattivo verso la persona e verso la città. Le costellazioni emotive dell’uomo moderno: passione del benessere e passione dell’io. La passione, che in realtà rimanda alla pienezza, nell’uomo moderno si è trasformata in desiderio, che rimanda invece alla mancanza, che non si soddisfa mai provocando invidia. Il bosco pensa e vive nel e del sottosuolo: la vitalità di un territorio è per larga parte affidata alla capacità dei reticoli relazionali dialogici. Gli operatori devono connettersi a questi reticoli, sostenerli e promuoverli, non governarli. Gli operatori si devono immergere nel territorio e lasciarsi colmare sino a che a qualcuno viene un’intuizione e prova a mettere in musica sofferenza e ricchezza… e man mano ognuno con il proprio strumento, ma insieme, si mette a suonare e a cantare le canzoni della gente. I servizi sociali da posti delle risposte a lievito della comunitàEnnio Ripamonti, Psicosociologo, METODI Milano e Università degli Studi di Milano-Bicocca, e conduttore del workshop "I servizi sociali da posti delle risposte a lievito della comunità" Durante il workshop "I servizi sociali da posti delle risposte a lievito della comunità" sono state presentate e discusse due esperienze innovative e innescate con modalità molto differenti tra loro. Nel primo caso il processo di profonda rivisitazione dell'approccio dei servizi è partito "dall'alto" per impulso politico-istituzionale di una nuova generazione di amministratori locali decisi a coinvolgere attivamente una vasta e variegata serie di soggetti organizzati della città (volontariato, cooperative, fondazioni, associazioni, sindacati, imprese…). Questa è l’esperienza di riorganizzazione delle politiche sociali e dei servizi del Comune di Ancona (Stella Roncarelli) in una prospettiva di welfare di comunità. Nel secondo caso si è partiti "dal basso", su iniziativa di una singola operatrice che, sulla scorta di un rifiuto di un'organizzazione del privato sociale del territorio di collaborare a un programma di contrasto alla dispersione scolastica, è riuscita a mobilitare nell'arco di pochi anni un considerevole numero di giovani volontari e ad impattare in maniera significativa il fenomeno. Questa è l'esperienza del CISSACA di Alessandria (Marina Fasciolo) di attivazione di giovani volontari con il progetto “Diamoci una mano 2.0”, finalizzato a contrastare la dispersione scolastica dei minori impegnati nel ciclo della scuola dell'obbligo (CISSACA, ICS Onlus, Comune di Alessandria, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Compagnia di San Paolo di Torino) Nella loro diversità mi pare che questi due percorsi d'innovazione condividono alcuni punti decisivi: la presenza di alcuni soggetti determinati a perseguire un'azione innovativa una buona capacità di progettazione e pianificazione partecipata una consistente dose di creatività nell'elaborare le azioni e una certa abilità nell'affrontare resistenze, reticenze e imprevisti un approccio intenso alle situazioni un'attitudine autocritica e ironica nell'approcciare gli errori: come fonte di apprendimento Come sempre, nel lavoro sociale, si apprende facendo. Servizi che si stanno sempre più “specializzando/separando” dal flusso della vita!Paola Sderci, Assistente Sociale Servizio Sociale ASL TO3 La città del Noi: un appuntamento che ha lasciato il segno… permettendoci di guardare oltre… di desiderare e quindi sperare!!! Lo sguardo più profondo e policromo, ricco di immagini, di storie, di saperi, di esperienze, di arte ci fa sentire parte di un insieme che non si arrende, che vuole costruire un Noi che vuole accogliere e promuovere il cambiamento, piuttosto che combatterlo e resistervi inutilmente!!! Siamo grati per questo evento che ci ha sollecitati su più aspetti, invitati a “fiutare l’aria”, a uscire per condividere, a cogliere le canzoni che si stanno intonando fuori dal chiuso e dallo stantio dei servizi! Servizi che si stanno sempre più “specializzando/separando” dal flusso della vita! È alla vita che dobbiamo tornare, se pensiamo di avere ancora un senso! È la collettività che dobbiamo incontrare, contaminati da tutto questo per ritrovare il piacere di essere là dove siamo e rafforzare la nostra scelta di essere operatori sociali e sanitari oggi!!!DOWNLOAD & LINKLa locandina dell'evento - la città del noi - in formato PDFColtivare il desiderio di una -città del noi- il documento base dell'evento in PDFTAG ARTICOLOANIMAZIONE SOCIALE; CITTADINANZA ATTIVA; PARTECIPAZIONE SOCIALE; WELFARE;