Quando passeremo alla fase 2 della pandemia?
a cura di Antonella Bena, Dors

Il COVID-19 dilaga in tutto il mondo (vedi l’aggiornamento OMS sullo stato di preparazione e risposta dei diversi paesi). Dove si sono immediatamente messe in atto azioni di precoce identificazione dei casi, con test rapidi e isolamento, tracciamento e quarantena dei contatti, la pandemia  si è mantenuta sotto una soglia per la quale i sistemi sanitari sono stati in grado di prevenire eccessi di mortalità. In molti paesi invece si è rapidamente realizzata una crescita simil-esponenziale che ha costretto a introdurre misure di distanziamento fisico e restrizioni nei movimenti delle persone al fine di rallentare la velocità di replicazione. In questi paesi è urgente pianificare una fase di transizione - la cosiddetta fase 2 - che, mantenendo bassa la velocità di replicazione dei casi, permetta di riavviare almeno in parte la vita economica e sociale, bilanciando attentamente i benefici socioeconomici e i rischi epidemiologi. Senza un'attenta pianificazione e dimensionamento delle capacità di sanità pubblica e di assistenza clinica, è probabile che la revoca delle misure di lockdown possa portare a una ripresa incontrollata della trasmissione COVID-19 e a una seconda ondata di casi.
Questa fase deve quindi essere programmata e messa in atto con attenzione: l’Organizzazione Mondiale della Sanità individua 6 condizioni necessarie per passare alla fase 2:

1 - La trasmissione del contagio deve essere "controllata": devono essere rilevati solo più casi sporadici e piccoli cluster derivanti da contatti noti o importati; l'incidenza di nuovi casi dovrebbe essere mantenuta a un livello tale da permettere al sistema ospedaliero di gestirli e di mantenere posti di riserva.

2 - Il sistema sanitario deve spostarsi dal rilevamento e trattamento dei casi gravi al rilevamento e isolamento di tutti i casi, indipendentemente dalla gravità e dall’origine: il sistema deve essere capace di rilevare (i casi sospetti dovrebbero essere rilevati rapidamente dopo l'insorgenza dei sintomi attraverso la ricerca di casi attivi, self-reporting, screening e altri approcci simili), testare (tutti i casi sospetti dovrebbero avere i risultati del test entro 24 ore dall'identificazione e dal campionamento; bisognerebbe avere la possibilità di verificare la negativizzazione del test), isolare (tutti i casi confermati dovrebbero essere efficacemente isolati - in ospedali e / o alloggi designati per casi lievi e moderati, oppure a casa se non altrimenti possibile - immediatamente e fino a quando non sono più contagiosi) e trattare ogni caso e rintracciare ogni contatto (tutti i contatti stretti dovrebbero essere rintracciati, messi in quarantena e monitorati per 14 giorni; il monitoraggio e il supporto dovrebbero essere assicurati tramite una combinazione di visite di volontari, telefonate o messaggi).

3 - I rischi di epidemia in contesti ad alta vulnerabilità, quali le strutture sanitarie e le case di cura, devono essere ridotti al minimo: devono essere identificati i principali driver e/o amplificatori della trasmissione del virus e deve essere minimizzato il rischio di nuovi focolai di trasmissione nosocomiale mettendo in atto opportune misure di contenimento (ad es. adeguata prevenzione e controllo delle infezioni, incluso il triage, e fornitura di mezzi di protezione individuale).

4 - Nei luoghi di lavoro, comprese le scuole e altri luoghi che le persone devono frequentare, devono essere messe in atto adeguate misure preventive: si dovrebbero emenare appropriate direttive che promuovano e rendano capaci tutti di aderire alle misure di prevenzione (distanziamento interpersonale, lavaggio delle mani, utilizzo di mascherine, controllo della temperatura).

5 - I rischi di importazione di casi devono essere gestiti: si dovrebbe eseguire un’analisi della probabile origine e delle rotte di importazione e dovrebbero essere messe in atto misure per rilevare rapidamente e gestire i casi sospetti tra i viaggiatori (inclusa la capacità di mettere in quarantena gli individui che arrivano da aree con trasmissione comunitaria).

6 - Le comunità devono essere pienamente coinvolte e rese capaci di comprendere che la fase 2 comporta grandi cambiamenti: le persone dovrebbero comprendere cosa significa passare dal rilevamento e dal trattamento dei casi gravi al rilevamento e isolamento di tutti i casi, che le misure di prevenzione devono essere mantenute e che tutti gli individui della comunità hanno un ruolo importante nel realizzare e facilitare l’attuazione della nuova fase.

L’organizzazione Mondiale della Sanità avverte che le decisioni su quando e dove avviare la fase 2 devono essere basate su prove, guidate dai dati e implementate in modo incrementale. È essenziale disporre di dati precisi e in tempo reale sui risultati dei test dei casi sospetti, la natura e lo stato di isolamento di tutti i casi confermati, il numero di contatti per caso, la completezza del tracciamento e la capacità dinamica dei sistemi sanitari di gestire i casi COVID-19. Per ridurre il rischio di nuovi focolai, le diverse misure dovrebbero essere attuate in modo graduale sulla base di una valutazione dei rischi epidemiologici e dei benefici socioeconomici.

Quella suggerita dall’OMS non è l’unica strategia individuata per passare dalla fase 1 alla fase 2 della pandemia, come descritto nell’articolo di Rodolfo Saracci. Dato che interferisce meno di altre strategie con tutte le ordinarie attività della società, e in termini di risorse appare a prima vista richiedere nulla altro che quanto esiste già in un sistema sanitario, è quella verso cui si dirigono la maggior parte dei Paesi.

In ogni caso il ruolo dei servizi territoriali di prevenzione e dei medici di medicina generale sarà fondamentale per passare dall’isolamento generalizzato a quello selettivo.

In molte parti d’Italia però, come sottolinea Paolo D’Argenio in questo articolo di su Scienza in rete, i Dipartimenti di Prevenzione non sono in grado di sostenere un impegno simile per lungo tempo. Bisogna potenziare i servizi territoriali e creare le condizioni per la cascata successiva di azioni. Il prossimo Piano Nazionale di Prevenzione, in corso di stesura, sarà l’occasione per mettere a regime e definire in modo formale le capacità di risposta alla pandemia.

Nella fase 2 sarà necessario allentare l’enfasi posta finora sulla conformità individuale e, in particolare, su stringenti misure di controllo della popolazione. Come sottolinea Glenn Laverack nel suo intervento pubblicato da Dors questo mese, le misure per il controllo della pandemia hanno maggiori possibilità di successo se le persone sono messe in condizione di avere maggiore responsabilità e sono motivate da un senso di altruismo, piuttosto che imponendo regole e sanzioni per le violazioni. Gli operatori che sul territorio si occupano di promozione della salute potranno avere un ruolo importante per sostenere il cambiamento dei comportamenti (come ad esempio il lavaggio delle mani), per supportare sani stili di vita per la tutela della salute fisica e mentale anche in condizioni di isolamento selettivo, per rafforzare il coinvolgimento della comunità coordinando l’attivazione delle reti sociali esistenti sul territorio.

 


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