Psicodramma: un approccio per il benessere delle persone e dei gruppi
a cura di Claudio Tortone, Dors

Lo Psicodramma Classico

Dors apre una rassegna di approcci teatrali - teatro della spontaneità, teatro dell’oppresso, teatro sociale e di comunità,... - che possono essere usati per promuovere il benessere e la salute delle persone, dei gruppi, delle organizzazioni e delle comunità locali. Ogni articolo é composto di un’intervista a esperti di rilievo nazionale e di una scheda di presentazione della metodologia.

Il primo appuntamento è dedicato allo Psicodramma Classico, detto anche Teatro della Spontaneità, con un’intervista ad Alessandra Bruno e Stefano Padoan della Scuola di Psicodramma Estetico-Relazionale - Proscenia – Istituto di Psicodramma e Arti Sociali con sede a Torino.
A loro abbiamo chiesto di preparare una scheda teorico- metodologica.

Che cos’è lo Psicodramma Classico, detto anche Teatro della Spontaneità?

Lo Psicodramma Classico è una metodologia di lavoro clinico, educativo e formativo ideata da Jacob Levi Moreno (Bucarest 1889 – Beacon 1974), medico psichiatra, che consiste nella rappresentazione di vissuti personali, professionali e sociali attraverso l’improvvisazione scenica. Il Teatro della Spontaneità deve il suo nome al forte accento che Moreno mette su quello che egli definisce come fattore S/C (Spontaneità e Creatività): l’interesse per la spontaneità è strumentale rispetto al tema dello sviluppo della creatività, dell’atto creativo. Uno degli obiettivi prioritari dello psicodramma, infatti, è la capacità di realizzare atti creativi (che possono nascere solo in uno “stato di spontaneità”) assumendo ruoli nuovi e trasformando ruoli personali, sociali e professionali inadeguati e/o stereotipati. La creatività, dunque, si definisce nell’atto concreto e consente di fornire risposte adeguate a situazioni nuove o risposte nuove a situazioni note e cristallizzate.

Si considera erroneamente lo Psicodramma Classico come ambito prevalentemente terapeutico, ma tale metodologia si presta a un’applicazione contestualizzata anche in ambito educativo, formativo e sociale (in questi casi si parla più correttamente di sociodramma) con soggetti adulti, adolescenti e bambini. Lo psicodramma classico favorisce la crescita dell’uomo e il benessere delle persone, dei loro gruppi di appartenenza, delle organizzazioni e delle comunità locali.

 

Lo Psicodramma Estetico-Relazionale

La vostra Scuola sta sperimentando un approccio innovativo: lo Psicodramma Estetico-Relazionale. Potete presentarlo?

Lo Psicodramma Estetico-Relazionale è un approccio innovativo allo sviluppo delle risorse e delle potenzialità delle persone, dei gruppi, e delle comunità per vivere il cambiamento e le trasformazioni, anche in momenti di crisi sociale ed economica come quella che stiamo vivendo, con creatività e spontaneità. E’ un approccio che interviene sulle capacità espressive e lavora per aiutare ciascuno a far emergere il proprio potenziale, non solo come individuo singolo, ma come persona inserita in un sistema di relazioni sociali e si basa sulla cura e sulla piena valorizzazione di ciò che è bello e quindi sano nelle diverse esperienze umane.

Si tratta di una filosofia di cura della persona e dei gruppi che integra la psicologia esistenziale dello psicodramma classico di Moreno con la ricerca estetica ed espressiva della rappresentazione del proprio mondo interno.

Questo approccio metodologico fa riferimento al teatro come uno spazio vuoto capace di ospitare tutte le scene possibili che definiscono il potenziale espressivo di ciò che consideriamo soggettivo e intersoggettivo. Il teatro è sia il luogo collettivo interiore - in cui agiscono come attori le idee, le immagini, le fantasie, i fantasmi, i personaggi della nostra storia - sia il luogo collettivo sociale e relazionale, in cui prendono vita le scene quotidiane e gli attori sono gli amici, i nemici, i compagni, i colleghi, i superiori, gli utenti, i clienti...

Nel teatro psicodrammatico si lavora espressivamente con le maschere, si esercitano il movimento e la gestualità, si agisce il lavoro corporeo dinamico, si mettono in scena le proprie storie di vita, si giocano relazioni significative e affettive con gli altri. Nell’autunno 2016 partirà a Torino la nuova edizione del percorso di formazione allo psicodramma Estetico-Relazionale, rivolto a coloro che desiderano applicare la metodologia psicodrammatica con i gruppi in contesti formativi, educativi e sanitari.

 

Può essere considerata una metodologia salutogenica?

Quale significato e senso ha lo psicodramma nel mondo di oggi, segnato e frammentato da una crisi sociale ed economica in cui dominano sfiducia, paura, isolamento, contrapposizione, conflitto…? Può essere una metodologia salutogenica, cioè che può dare opportunità di benessere alle persone, alle loro relazioni, ai gruppi e alle organizzazioni cui appartengono?

Lo Psicodramma Estetico - Relazionale considera ogni persona l’esito dinamico e mutevole di un’appartenenza profonda, intima e affettiva, a mondi di vita molteplici: la famiglia, i gruppi di riferimento, la propria comunità, i gruppi professionali, le organizzazioni. E lavora per aiutare l’individuo a vivere queste appartenenze con consapevolezza e partecipazione. Nei gruppi psicodrammatici e nel lavoro psicodrammatico individuale, si vive in modo esperienziale e concreto il significato delle relazioni da cui proveniamo e in cui abitiamo e si sperimenta attraverso il potere curativo e trasformativo della scena la possibilità di prendervi parte come protagonisti.

La cura è qui intesa sia come cura di sé che come azione intenzionale del prendersi cura di qualcun altro, è l’azione trasformativa che ciascuno di noi può agire quando sa attivare le proprie risorse creative per promuovere nei contesti in cui agisce la libertà di essere se stessi, la generatività delle idee, la capacità trasformativa dell’azione responsabile. In questo senso libertà, cura e responsabilità, sono concetti-azioni strettamente connessi: siamo liberi di avere cura di noi, degli altri e del mondo e tale cura è un atto di responsabilità non solo individuale ma anche sociale e politica. La sfiducia, la paura, l’isolamento, la contrapposizione a cui si fa cenno nella domanda derivano da una visione autoreferenziale dell’individuo che si sviluppa in un contesto sociale e politico dominato dal mito dell’individualismo a cui occorre, secondo l’opinione della nostra Scuola, contrapporre un’etica del ben-essere fondata sulla condivisione e sulla cura di sé e degli altri.

Lo Psicodramma Estetico-Relazionale, con i suoi riferimenti alla psicologia umanista e alla filosofia esistenzialista e fenomenologica, si propone di agire questa forma di cura nei contesti della formazione, nello sviluppo organizzativo e di comunità, nella consulenza individuale, nelle esperienze di gruppi espressivi, nei gruppi a sostegno reciproco.

 

Formazione di conduttori di gruppi, del saper e sapersi prendere cura

Oltre alla formazione di “conduttori di gruppi”, quali sono le esperienze recenti e interessanti della vostra Scuola all’interno di organizzazioni, di servizi o con gruppi di persone?

Per descrivere le caratteristiche e le qualità dell’approccio psicodrammatico nella formazione, abbiamo scelto l’esperienza che da diversi anni conduciamo insieme con l’area di formazione della A.S.O. Città della Salute e della Scienza di Torino.

Sono attualmente quattro i percorsi formativi che conduciamo:

  • La comunicazione e la relazione nella quotidianità con pazienti difficili e pazienti gravi (6 giornate d’aula);
  • Saper accompagnare: prendersi cura del paziente con patologie croniche o degenerative (4 giornate d’aula);
  • La cura di sé: prendersi cura di chi si prende cura (4 giornate d’aula);
  • Lutto improvviso e gravi disabilità: aspetti relazionali ed emotivi (2 giornate d’aula e 4 giornate di follow up).

I destinatari sono: medici, infermieri, coordinatori e fisioterapisti provenienti da reparti di area critica, rianimazioni, oncologie, trapianti...

I primi due percorsi vengono ormai proposti da sei anni presso la sede del Rosmini, con quattro edizioni all’anno, per un totale, a oggi di più di 300 partecipanti. Abbiamo avuto modo di presentare questi percorsi in occasione della 3a Conferenza Regionale della Rete Health Promoting Hospital del Piemonte. Da quest’anno sono stati introdotti gli altri due percorsi: quello sulla “Cura di Sé”, presso la sede del Rosmini e quello sul Lutto improvviso e gravi disabilità, presso la sede del Centro Traumatologico Ortopedico - CTO di Torino.

Ciò che accomuna i percorsi è l’intento di avviare un significativo momento di riflessione sul proprio ruolo professionale e sulla relazione con i pazienti: un percorso esperienziale e di riflessione sulla propria esperienza professionale, sul valore e sull’importanza che questa può avere nella quotidiana relazione con il paziente, sul valore e sull’importanza di far parte di un équipe di lavoro e di non essere soli in questo difficile lavoro. Particolare attenzione viene dedicata ai temi dell’umanizzazione della cura, dell’accompagnamento alla morte, alla terapia del dolore e alle cure palliative, alla relazione con persone affette da patologie degenerative ed invalidanti.

Gli incontri si sviluppano a partire dalle esperienze dei partecipanti, dai temi che loro portano e dal confronto su situazioni relazionali vissute nei loro contesti operativi, questo consente una condivisione e uno scambio normalmente assente nella pratica lavorativa. Il valore aggiunto che diventa apprendimento è proprio in relazione a questo confronto che permette di ridurre il senso di solitudine professionale che gli operatori sovente vivono e favorisce la contaminazione di buone pratiche relazionali e professionali.

Obiettivi condivisi dai percorsi formativi sono:

  • aumentare la consapevolezza delle proprie rappresentazioni di malattia e di morte come fattore che facilita l’identificazione con il paziente,
  • aumentare la consapevolezza e la sensibilità rispetto ai processi che si attivano con i pazienti, in particolare nelle relazioni interpersonali connotate da difficoltà relazionali,
  • favorire il confronto tra i partecipanti orientato alla maturazione di competenze specifiche del proprio ruolo connesse al “prendersi cura relazionale”,
  • acquisire la sensibilità necessaria ad utilizzare le proprie competenze relazionali in maniera coerente e funzionale ai contesti operativi e nelle équipe di lavoro,
  • favorire la maturazione di uno “stile personale” di gestione delle relazioni di cura che sia funzionale alle caratteristiche individuali.

Un paragrafo a parte merita l’esperienza del percorso formativo La cura di Sé. Lo scopo principale di questo percorso formativo è quello di aiutare gli operatori sanitari, impegnati in ambienti professionali complessi e ad alta intensità stressogena, a esplorare la qualità e la natura della relazione che ciascuno di essi intrattiene con se stesso, così da trovare e attingere alle risorse vitali indispensabili per ripristinare, dove indebolita, e per migliorare, dove ancora forte, la capacità di auto-cura. Gli obiettivi principali perseguiti in questo percorso sono di aumentare il livello di resilienza nei confronti degli agenti stressogeni attivi nel proprio ambiente lavorativo e di promuovere un atteggiamento di benessere e ben-stare che integri in modo armonico i bisogni personali con le esigenze professionali del ruolo.

Oltre a quello della formazione, un altro ambito in cui chi scrive si è impegnato in questi anni è quello della supervisone di gruppi professionali in contesti socio-sanitari e socio-assistenziali.

La supervisione, nei contesti di cura, si configura come luogo in cui gli operatori hanno l’opportunità di “processare” la propria esperienza professionale e come momento significativo di formazione e sviluppo. È un’occasione per condividere e orientare la propria consapevolezza e competenza, ma anche un dispositivo per tutelare il proprio ben-essere e, di conseguenza, quello delle persone con le quali ci si trova a operare nei contesti professionali.

La supervisione di gruppo all’interno dei contesti di cura diventa così un dispositivo atto a supportare gli operatori quotidianamente impegnati nella relazione con la malattia e la sofferenza dei loro pazienti e un sostegno prezioso per la continua crescita professionale e per la promozione di conoscenze e competenze per il contesto organizzativo di riferimento.

Innescando un processo di elaborazione e di messa in discussione dell’agire professionale, il gruppo di supervisione consente un aumento dell’efficacia e un miglioramento della qualità della cura: si tratta infatti di uno spazio fisico e temporale intermedio tra operatori e pazienti, un luogo di contenimento ed elaborazione di vissuti emotivi collegati alla presa in carico della patologia e della sofferenza ad essa collegata.

Una delle applicazioni ulteriori dello psicodramma estetico-relazionale riguarda senza dubbio il mondo dell’imprenditorialità e delle organizzazioni produttive, in particolare i processi interni di sviluppo manageriale (del top e del middle manager), processi sempre più chiamati a occuparsi della crescita armonica nei loro responsabili delle competenze relazionali, comunicative, ma anche delle loro attitudini all’ascolto e al coinvolgimento attivo dei collaboratori. In una delle più recenti esperienze, siamo stati chiamati a condurre un laboratorio residenziale intensivo di due giornate con l’intero gruppo manageriale di una importante azienda che si occupa di trasporto marittimo. Lo scopo è stato quello di rinforzare nel gruppo il senso di identità tra i suoi membri e di identificazione con i valori aziendali e di permettere ad ognuno dei manager coinvolti di maturare nel corso dell’esperienza un modo nuovo, più positivo, di interpretare il proprio ruolo verso i colleghi, aprendo a logiche relazionali più collaborative e partecipative. La scelta dell’approccio psicodrammatico si è dimostrata particolarmente efficace per raggiungere gli obiettivi condivisi con la committenza. La possibilità di mettere in gioco in realtà e in semi-realtà i propri stereotipi, le proprie strategie auto-sabotative, i pregiudizi comuni, incontrando i colleghi in un clima di reciproca accettazione dei propri limiti e dei limiti altrui, ha permesso ai partecipanti di compiere un importante salto evolutivo nella consapevolezza di sé stessi e degli effetti che si producono e si vogliono produrre sugli altri. Comprendere l’importanza della comunicazione positiva e la possibilità di agirla superando l’imbarazzo e la paura del giudizio, sperimentare l’ausiliarietà mettendosi al servizio dell’altro ha trasformato la percezione reciproca dei partecipanti accrescendo la loro consapevolezza di essere una comunità professionale coerente parte di una comunità organizzativa ancora più estesa. Esercitarsi nella sospensione della risposta, nella circolarità e nella simmetria del processo comunicativo, ma anche e soprattutto re-imparare a ridere e a piangere assieme ad altri, in libertà, ha permesso a ognuno di vedere nella comunicazione con l’altro non solo un mezzo di controllo e/o di manipolazione dell’altro, ma prima di tutto una dimensione di incontro della propria umanità, anche in azienda.

 

“L’intelligenza immaginativa e la pratica della cura”

Il vostro prossimo seminario annuale si intitola: “L’intelligenza immaginativa e la pratica della cura” (Cuneo, 10-12 giugno), potete spiegarci il significato e il motivo di questa scelta?

La pratica della cura è un esercizio quotidiano di intelligenze multiple messe al servizio dell’altro: ogni comportamento professionale è l’esito di un’interazione complessa tra l’intelligenza cognitiva – il pensare ed il capire – l’intelligenza emotiva – il sentire empatico e la sintonizzazione affettiva – l’intelligenza somatica – l’entrare in contatto ed il prendere in carico. C’è una quarta intelligenza fondamentale alla base di ogni buona pratica di cura: l’intelligenza immaginativa che rappresenta la capacità individuale di elaborare le diverse situazioni critiche in vissuti personali dotati di senso e di valore. Sviluppare in modo opportuno la propria intelligenza immaginativa significa accrescere la resilienza professionale, poiché dal suo buon funzionamento dipende la capacità di elaborare in modo significativo i numerosi micro-traumi a cui espone il complesso ambiente sanitario traducendoli dentro di sé in immagini positive e in vissuti portatori di un significato personale. L’intelligenza immaginativa, infatti, rappresenta il modo in cui produciamo, trasformiamo ed assimiliamo le immagini mentali che traducono gli stimoli ambientali in rappresentazioni simboliche significative per noi e per la nostra esistenza. Nelle situazioni critiche, le sollecitazioni stressogene dell’ambiente tendono a tradursi in immagini mentali negative che a loro volta stimolano l’attivazione di pregiudizi e stereotipi, con la conseguente demotivazione e depressione emotiva. Trasformare tali immagini negative e disabilitanti in immagini mentali positive e abilitanti significa mantenere in ogni circostanza, anche quelle più critiche, un atteggiamento psichico costruttivo e consapevole.

Il laboratorio che proponiamo ha lo scopo principale di far esercitare i partecipanti coinvolti nell’uso della propria intelligenza immaginativa stimolando e allenando la capacità di trasformare l’impatto cognitivo, emotivo e fisico degli eventi professionali, anche i più difficili, in immagini psichiche positive, in occasioni per accrescere le proprie attitudini di cura e di servizio nella relazione con i pazienti. Attraverso la pratica scenica, il lavoro sui micro-traumi immaginativi, l’utilizzo di visualizzazioni attive, la condivisione dei vissuti in un contesto rispettoso e valorizzante, viene offerta l’opportunità di mantenere viva la propria capacità di elaborare creativamente le esperienze professionali.

 

Per contatti e approfondimenti

Alessandra Bruno, Psicoterapeuta, psicodrammatista, ab.alessandra.bruno@gmail.com

Stefano Padoan, Psicoterapeuta, psicodrammatista, padoan.stefano@gmail.com

 

Foto articolo di: CiViLoN in flickr.com


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