Open Access, Open Science, questi sconosciutiL’articolo prende in esame gli obiettivi dell’Open Science: il principale è aumentare la trasparenza e la riproducibilità in ogni passo del processo di ricerca attraverso la condivisione più tempestiva possibile di dati, pubblicazioni, software, strumenti, protocolli.a cura di Elena Giglia, Università degli Studi di TorinoPubblicato il 09 Dicembre 2019Aggiornato il 16 Gennaio 2020Modelli e strumentiPer Open Science si intende un nuovo modo aperto e partecipativo di fare ricerca, diffonderla e valutarla. Uno degli obiettivi è aumentare la trasparenza e la riproducibilità in ogni passo del processo di ricerca, attraverso la condivisione più tempestiva possibile di dati, pubblicazioni, software, strumenti, protocolli. Esistono strumenti per “aprire” ognuno di questi passaggi della ricerca. La scienza aperta è non solo più robusta e verificabile, ma poiché garantisce accesso a tutti, si traduce in un maggiore impatto anche sulla società. Si pensi alle piccole e medie imprese, alle start up, ai professionisti, ai medici e operatori della sanità che non possono certo permettersi abbonamenti a riviste scientifiche che arrivano a costare decine di migliaia di euro, e in più non hanno mai accesso ai dati o ai metodi. Nessuno si chiede quanti milioni di euro si spendono per gli abbonamenti (globalmente, nel 2016, sono stati spesi 7,6 miliardi di euro), il che significa di fatto pagare per chiudere dietro a una barriera i risultati delle ricerche finanziate con i fondi pubblici. Autori e revisori (i “peers” che giudicano della qualità e solidità scientifica di un lavoro) non vengono pagati per pubblicare sulle riviste scientifiche, ma gli enti di ricerca sono costretti a “ricomprare” sotto forma di abbonamento la ricerca che hanno già finanziato. E in questo processo, gli editori raggiungono guadagni netti del 38%, il costo delle riviste è salito del 521% negli ultimi 25 anni mentre i bilanci delle biblioteche si sono ridotti, con conseguenti tagli. Ma la ricerca è un processo incrementale, e si costruisce sui risultati di altri. Se non si ha accesso a questi risultati e ai dati, come si può progredire? In più, stanno aumentando in maniera esponenziale le ritrattazioni – date un’occhiata al blog scientifico Retraction Watch, è sconcertante – perché la spinta eccessiva a pubblicare, per ragioni di valutazione e finanziamento, porta a frodare o falsificare i dati. Non a caso sta crescendo il numero di riviste che richiedono di pubblicare anche i dati che supportano l’articolo, per trasparenza. In Europa Open Access e Open Science sono diventati una priorità nell’agenda politica. In Italia sono ancora praticamente sconosciuti, e son poche le realtà virtuose o i Rettori che abbiano una visione strategica o che hanno adottato politiche e pratiche di scienza aperta. In tempi molto recenti, da fine 2018, il Ministero della Ricerca ha iniziato a impegnarsi su questi temi, il che lascia ben sperare per il futuro prossimo. Nel novembre 2018 è stata lanciata EOSC, la European Open Science Cloud. EOSC sarà un ambiente virtuale in cui produttori di dati, produttori di servizi e innovatori si incontreranno. I suoi blocchi costitutivi saranno i dati FAIR, Findable, Accessible, Interoperable, Reusable, che renderanno molto più semplice e lineare il processo di ricerca e abiliteranno intelligenza artificiale o tecniche quali il text e data mining. Va chiarito che FAIR non significa Open: “Accessible” significa solo che come ricercatore devo sapere dove si trovano i dati e a quali condizioni posso accedere. Ci sono dati che possono essere perfettamente FAIR ma non saranno mai Open per la loro stessa natura (si pensi a interviste a rifugiati politici). Per supportare i ricercatori sui dati FAIR è necessaria una buona rete di data stewards, esperti di dominio che acquiscano anche competenze sui metadati e gli dentificativi persistenti (Findable), sulla conservazione e i formati (Accessible), su ontologie e standard (Interoperable), su documentazione e licenze (Reusable). La scienza aperta è strategica. In primo luogo per la scienza stessa, per la crescita della conoscenza, perché le idee circolano prima e circolano di più, e la scienza risulta più solida grazie alla condivisione dei dati e dei metodi. È strategica per il benessere di tutti, perché permette di affrontare in modo efficace crisi come quella del virus Zika, in cui tecniche come il data mining dimostrano tutta la loro utilità, purché possano lavorare su testi aperti. Ed è strategica anche per l’innovazione. Sapete qual è il migliore esempio di Open Science? Il protocollo http, che era stato inventato da Tim Berners-Lee al CERN di Ginevra come strumento interno di scambio di documenti di lavoro fra i gruppi di ricerca del CERN. Avrebbero potuto brevettarlo, avrebbero potuto tenerlo chiuso, hanno deciso di aprirlo a tutti. Open Science è una scoperta scientifica che cambia la vita di tutti noi. Chi fa ricerca sta cercando di scardinare dal basso i meccanismi ormai obsoleti di una comunicazione scientifica ancora organizzata come quando esisteva solo la carta. Si stanno moltiplicando, per esempio, gli strumenti di scrittura collaborativa, e sta cambiando il concetto di “pubblicazione scientifica”: non si pubblicano più solo articoli ma anche dati, software, immagini, note di laboratorio. Non solo, una volta la pubblicazione era il traguardo finale, l’articolo finalmente stampato su carta, oggi è invece solo l’inizio, perché se accompagnato dalle giuste licenze ogni lavoro può essere riusato. Sta cambiando il concetto di peer review, anche questa delegata alla fase post-pubblicazione, e intesa come giudizio da parte della comunità intera. Stanno cambiando le riviste, che accolgono materiali diversi dagli articoli tradizionali, utilizzano la scrittura collaborativa, offrono servizi innovativi e spesso stanno al confine fra un repository e una rivista tradizionale, perché danno accesso anche ai preprint. Stanno cambiando a livello europeo le norme sul copyright, che devono essere una tutela dei diritti ma non una protezione di interessi commerciali che si frappongano alla diffusione della scienza. In uno scenario in rapida evoluzione, devono cambiare anche le regole con cui si valuta la ricerca, e in area Open si è alla ricerca di nuovi modi per misurare l’impatto reale di un lavoro. È appena uscito il nuovo Decreto sulla prossima VQR, valutazione nazionale della ricerca, che prevede che i prodotti scelti per la valutazione siano liberamente disponibili in un archivio Open Access. È un passo importante in termini di trasparenza e riscontro sui risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici. È importante sottolineare che ciò che chiede il decreto è il deposito (tecnicamente, green road) in archivi Open di un lavoro ovunque esso sia stato pubblicato, in accordo con le politiche di copyright degli editori, che possono prevedere un periodo di embargo (in cui il file pur depositato resta ad accesso riservato). Non significa in alcun modo essere obbligati a pubblicare su riviste Open (cosiddetta “gold road”), perché nel 26% dei casi viene richiesto il pagamento di spese per la pubblicazione. Open Access e Open Science significano tutto questo. Non sono solo un ennesimo fardello burocratico imposto dai Regolamenti di Ateneo o dai bandi europei di Horizon 2020, che pure si basano sull’inattaccabile principio per cui la ricerca finanziata con fondi pubblici deve essere pubblicamente disponibile. Open Access e Open Science sono un’opportunità reale per una comunicazione scientifica più efficace, trasparente e utile all’innovazione, non più “confiscata” dietro barrire all’accesso insormontabili per molti.TAG ARTICOLOOPEN ACCESS; PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE;