Costruire salute con le comunità: intervista a Dors
a cura di Maria Elena Coffano, Simonetta Lingua, Vincenzo Rubino, Claudio Tortone, Eleonora Tosco, Alessandra Suglia - Dors

Il Convegno

Bologna, 11 maggio 2016 – Come prefissato dai suoi organizzatori, “Costruire salute con le comunità” è stata una giornata dedicata a due temi strategici per la prevenzione e la promozione della salute: la partecipazione dei cittadini e il coinvolgimento della comunità.

Le riflessioni sono partite dalla presentazione de “I 6 nuovi progetti di Guadagnare Salute in contesti di comunità” realizzati nel biennio 2014-2016, vincitori in Emilia-Romagna di un bando regionale per selezionare progetti di promozione della salute di comunità e di contrasto dei 4 fattori di rischio di Guadagnare Salute.

Per approfondire, scarica i materiali e le presentazioni del Convegno: “Costruire salute con le comunità: la promozione della salute in Emilia-Romagna”, svoltosi a Bologna l’11 maggio 2016.

Dors restituisce la sua esperienza di partecipazione al Convegno attraverso la voce degli operatori che hanno preso parte ai lavori sia come uditori che come conduttori dei workshop tematici.

Intervista a M.E. Coffano, responsabile Dors

A seguito dei temi affrontati durante la mattinata e dell'ascolto della lezione magistrale di Glenn Laverack, quali suggerimenti per la pratica porteresti all'attenzione degli operatori che intendono ‘costruire salute con le comunità’?

Mi è sembrato molto importante l’invito di Daniela Galeone a “rafforzare il concetto di salute come “responsabilità diffusa”, migliorando il coordinamento tra Enti ed Istituzioni e il coinvolgimento delle comunità per agire a livello locale con un’ottica globale” affrontando “tutti i determinanti socio-culturali, ambientali, relazionali ed emotivi che influenzano lo stile di vita e l’insorgenza delle malattie”.

Per far questo sono molto utili gli ingredienti da lei individuati, nella cornice del Piano Nazionale della Prevenzione:

  • una politica delle alleanze per coinvolgere tutti i settori
  • la condivisione di obiettivi di salute da parte degli attori coinvolti
  • la definizione di reciproche responsabilità al fine di rendere facili per i cittadini le scelte di salute realizzando e rendendo accessibili ambienti e contesti a ciò favorevoli
  • i meccanismi di raccordo, condivisione e programmazione unitaria tra i diversi livelli e dipartimenti e/o assessorati.

La sottolineatura sul coinvolgimento attivo delle istituzioni e dei principali gruppi di interesse delle comunità è stata poi fortemente richiamata da Glenn Laverack, che ha messo a confronto il modello top-down (con interventi gestiti dai professionisti della salute, a corto raggio, orientati ai cambiamenti individuali degli stili di vita, molto strutturati) e quello bottom-up (con obiettivi scelti sui bisogni inevasi della comunità, dalla disoccupazione all’esclusione sociale, da realizzare attraverso azioni a livello collettivo, in tempi lunghi, orientate alla costruzione di competenze, alla partecipazione ed all’enabling). Nel primo caso, “vogliamo cambiare il comportamento della gente più che aiutarle ad aumentare il proprio controllo, vogliamo che la gente assecondi le nostre istruzioni; vogliamo che la gente partecipi ai nostri programmi. Dovremmo essere più disposti e preparati ad ascoltare di che cosa la comunità ha bisogno prima di fornire soluzioni.”

In realtà la soluzione che propone è di composizione dei due approcci (quello che lui chiama il parallel tracking) sia in fase di analisi che di programmazione che di valutazione, utilizzando metodi e strumenti appropriati. Questo dovrebbe massimizzare l’efficacia degli interventi e renderne durevoli gli effetti. Citando un lavoro del 2013 infatti ha detto che “I gruppi della comunità offrono uno spazio per identificare priorità e soluzioni, connettendosi ad altri, e possono fornire competenze, conoscenze e condivisione di esperienze”. In questo senso gli operatori devono essere in grado di giocare ruoli differenti (direttivo, di facilitazione, di cambiamento sociale) stimolando il miglioramento nei differenti livelli di empowerment (da quello individuale a quello delle politiche) per costruire “comunità competenti”. Le “matrici” illustrate da Laverack sono sicuramente un concreto aiuto per una progettazione che tenga conto di questi elementi. Gli esempi offerti dai progetti regionali hanno lasciato intravedere la concreta possibilità di andare in questa direzione, pur con tutte le fragilità e le incertezze di un cammino ancora in fondo agli inizi.

  

 

Intervista a V. Rubino, borsista presso Dors

Hai partecipato al workshop, tenuto nel pomeriggio da Glenn Laverack, sul ‘‘promuovere salute nella comunità ’- e riservato a tesisti, borsisti,… -. Quali indicazioni, emerse durante i lavori di questo workshop, ti saranno utili per la tua professione futura?

Durante il workshop, il Prof. Laverack ci ha invitato a esprimere apertamente le perplessità e i nostri interrogativi circa l'applicabilità della sua griglia di analisi dell'empowerment di comunità. Così facendo ci ha mostrato, immediatamente, come sia possibile attivare un processo di ascolto dei bisogni di una piccola comunità, in quel momento composta da tirocinanti, borsisti e futuri operatori sanitari. Mettendo in discussione il suo "sapere scontato", l'esperto si è messo a disposizione degli altri con la sua esperienza e ha dimostrato che quando ci avviciniamo a un gruppo, per conoscerne i bisogni, è indispensabile adottare un approccio di ascolto capace di sospendere il sapere precostituito e di auspicare alla costruzione di interventi ad hoc per "quel gruppo/comunità", unici e specifici.
In secondo luogo, il gruppo ha compreso quanto sia importante, per un operatore sanitario, saper "creare collaborazione" all'interno di una comunità, poiché l'atto in sé di comunicare con l'altro non comporta il prendersi un impegno con e verso l'altro, mentre stabilire un legame attraverso una collaborazione sì. Lo strumento proposto dal Prof. Laverack permette proprio di osservare quali "legami e impegni" gli attori di una comunità sono stati in grado di creare, per elevare il proprio livello di empowerment. Infine, ho accolto l'invito di provare a "stare nella scomodità" della mia professione futura, che ha il compito di saper restituire alle persone il controllo sulla propria salute e allo stesso tempo di poter influenzare efficacemente le decisioni politiche.

 

Intervista a C. Tortone, conduttore del workshop valutazione con Elvira Cicognani

Hai condotto il workshop "valutazione: da progetto a processo" insieme a Elvira Cicognani, psicologa sociale e di comunità dell’Università di Bologna.
Perché è importante valutare gli interventi con la comunità? E quali sono le strategie e le azioni da mettere in campo in un processo di valutazione di progetti e interventi efficace e sostenibile?

L’azione del valutare dovrebbe essere sempre guidata da un “pensiero riflessivo” che dà valore al processo che facilita un risultato di benessere individuale e sociale. Il legame tra processo e risultato è inscindibile e determinante, soprattutto negli interventi che vedono le persone attive e propositive. Laverack al mattino è stato molto chiaro: ingaggiare o arruolare (engaging) la società civile è un approccio efficace nel promuovere partecipazione e responsabilità. Il capitale sociale di una persona e di una comunità locale è fatto di relazioni. Esse permettono di ascoltare, accogliere, camminare accanto, scegliere e impegnarsi per creare un ambiente in cui le persone singole, e le loro reti di prossimità, possano sentire di potere affrontare con successo i propri bisogni e i propri desideri di benessere e salute. Il caso presentato relativo al progetto “Uno sguardo alla comunità” in corso di realizzazione a Manta, una piccola cittadina in provincia di Cuneo, ne rappresenta un esempio interessante da questo punto di vista, oltre che avere un’attenzione all’intreccio tra valutazione di processo e risultato.


Le strategie di valutazione quindi devono essere impostate secondo un approccio da ”parallel-tracking”, come proposto da G. Laverack, capace di osservare le competenze che maturano e si sviluppano nella comunità (gli operatori della sanità sono parte di essa) e contemporaneamente vigile ai risultati di benessere e salute. Il lavoro proposto da Elvira Cicognani durante il workshop ha enucleato nella comunità la dimensione del gruppo, informale o formale, quale ponte tra l’individuo, le sue reti di prossimità e la comunità nel suo complesso. L’obiettivo era di costruire indicatori condivisi e validati per capire “quando i gruppi di lavoro percepiscono di aver lavorato bene insieme” ovvero in modi che promuovano empowerment (nei membri dei gruppi e nella comunità), senso di essere parte di una comunità che promuove salute e capitale sociale, oltre, ovviamente, esiti positivi in termini di salute.

Questo ci dice che dobbiamo crescere professionalmente e investire nella programmazione rispetto a strategie valutative che triangolino gli approcci qualitativi e quantitativi.

 

 

Intervista a S. Lingua, partecipante al workshop equità

Quali sono i tre concetti-chiave che hai appreso, o dei quali hai avuto conferma, durante i lavori del workshop EQUITÀ?

Ciò che più mi ha colpito è la definizione operativa di equità definita come: la variabile focale da eguagliare al fine di garantire a tutti la libertà di fare. Con questa visione è possibile fare scelte strategiche nel nome della “gestione delle differenze”.

È infatti proprio l’accettazione delle differenze che permette di lavorare con l’equità e, dal punto di vista operativo, questa consapevolezza deve interessare tutte le organizzazioni in maniera pregnante in modo che non si lasci alla discrezionalità dell’operatore la sua applicazione o meno, ma si lavori per l’equità in tutte le politiche.

Ciò che mi porto a casa è che l’approccio all’equità nella promozione della salute in particolare nel setting scolastico, del quale mi occupo, è quindi una lente che aiuta a leggere il paradigma delle Scuole che Promuovono Salute verso una scelta di priorità che tengano conto anche delle disuguaglianze.

 

 

Intervista a E. Tosco, conduttore del workshop comunicazione con Giuseppe Fattori

Hai condotto il workshop Comunicazione con il Dott. Giuseppe Fattori, medico, direttore del Programma “Promozione della Salute” dell'Azienda Sanitaria di Modena e Coordinatore del Laboratorio FIASO “Comunicazione e Promozione della Salute.
In che modo è stato affrontato il tema della comunicazione? Quali possono essere le strategie più efficaci per comunicare la promozione della salute all’interno della comunità, in modo partecipato e coinvolgente?

Comunicare, così come suggerito dall’etimologia stessa del termine, significa mettere in comune, condividere. E’ proprio sul concetto di comunicazione “con” contrapposta alla “comunicazione “a” che si è sviluppato il workshop. Comunicare “con” significa appunto far sì che i destinatari degli interventi di promozione della salute non siano meri ricevitori di informazioni, confinati in un ruolo passivo di uditori, ma protagonisti attivi e consapevoli nei processi decisionali che riguardano la propria salute e quella della comunità a cui appartengono. L’avvento delle tecnologie digitali poi, ha accelerato il processo del passaggio da un tipo di comunicazione per la salute top down, dove la parola era in mano unicamente all’ “esperto” a una comunicazione che vede il cittadino soggetto pro-attivo nel cercare informazioni di salute.

Ai partecipanti al workshop è stata proposta quindi la strategia non convenzionale del Guerriglia Marketing: un insieme di tecniche di comunicazione innovative, che sorprendono il destinatario generando dinamiche virali di diffusione del messaggio grazie a un forte investimento di creatività, energia e idee.  Questo tipo di azione comunicativa si presta in modo particolare al setting comunità perché prevede l’utilizzo di spazi e strutture appartenenti al territorio dei destinatari in un’ottica di coinvolgimento e partecipazione alla comunicazione.  Divisi in piccoli gruppi, i partecipanti hanno sperimentato l’elaborazione di un intervento di guerriglia marketing su alcuni temi di salute pubblica quali la lotta alla sedentarietà nella popolazione over 65 e la prevenzione dell’abuso di alcol tra i giovani. I lavori, ricchi di spunti e sollecitazioni per la pratica futura, hanno permesso un vivace e partecipato confronto.

 

 

Intervista a A. Suglia, partecipante al workshop partecipazione

Quali sono i tre concetti-chiave che hai appreso, o dei quali hai avuto conferma, durante i lavori del workshop PARTECIPAZIONE?

Ho messo a fuoco, prima di tutto, che la partecipazione è collaborazione paritaria tra tutti i soggetti impegnati nell’analisi del territorio e delle azioni di promozione e tutela della salute, da comporre nel tempo.

La partecipazione si costruisce con relazioni intersettoriali. Quando si attiva un processo partecipativo occorre individuare le istituzioni locali da coinvolgere per dare futuro alle azioni che la comunità considera necessario attuare o consolidare. 

E, infine, la partecipazione richiama l’interfattorialità ovvero il coinvolgimento della comunità può partire dal considerare un solo fattore protettivo, che diventa poi ‘volano’ per ampliare l’analisi e dare voce a chi spesso non l’ha.

 

 

Le foto sono parte dei materiali del Convegno, disponibili alla pagina web:
http://salute.regione.emilia-romagna.it/prp/doc/atti-di-convegno-e-formazioni/costruiresalute/foto


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